L’ultimo concerto della stagione concertistica del Petruzzelli era stato lo scorso 16 febbraio. Il successivo appuntamento, in programma il 14 marzo, era stato poi annullato come tutti quelli a seguire per la forzata chiusura dei teatri italiani a causa dell’emergenza sanitaria Covid-19. Al termine del lockdown il politeama barese ha poi riaperto con una serie di concerti su prenotazione, per un massimo di 200 spettatori, che hanno visto protagonisti l’Orchestra ed il Coro del Teatro. Ed ora finalmente è ripartita anche la Stagione Concertistica che segue di pochi giorni il ritorno dell’opera con il caloroso successo dell’Elisir d’amore. Il tutto ovviamente nel rispetto delle norme di sicurezza e con l’ingresso massimo di circa 600 spettatori, ma per favorire la maggiore affluenza possibile per i primi cinque appuntamenti è stato previsto un doppio turno.
Applauditi protagonisti del
“primo” sono stati sempre l’Orchestra
e del Coro del Teatro diretti da Fabio Mastrangelo e
con ospite solista il pianista Alexander
Malofeev. In programma il Concerto n. 3 in re minore per pianoforte e orchestra di
Sergej Rachmaninov, La
Damoiselle élue di Claude Debussy, e Capriccio italiano di
Pëtr Il’ič Čajkovski.
Classe 2001, Alexander Malofeev si
è fatto apprezzare sulla ribalta internazionale grazie alla vittoria del
Concorso “Cajkovskij” nel 2014. Era dunque molto sentita l’attesa per il
giovanissimo concertista che arrivava a Bari forte degli ultimi successi
(ovviamente precedenti il lockdown)
riscossi, tra gli altri prestigiosi teatri, anche alla Scala. Ebbene, il
pianista russo non solo non ha deluso le aspettative ma ha siglato una delle
migliori esecuzioni da noi sentite in questi ultimi tempi del Terzo Concerto di
Rachmaninov, brano dalle difficoltà trascendentali la cui popolarità è
ulteriormente aumentata dopo l’uscita, ventiquattro anni fa, del film “Shine”.
Il pezzo scritto nel 1909 ed eseguito per la prima volta a New York il 28
novembre di quell’anno con al pianoforte lo stesso autore, cominciò a diventare
famoso negli anni ’30 grazie all’interpretazione di Vladimir Horowitz.
La lettura di Malofeev è stata
intensa, energica all’occorrenza, ma intrisa di profondo pathos. Il suo è un tocco
estremamente sensibile, vario, frutto di una tecnica perfetta. Ma quello che ha
sorpreso ancor di più è la maturità di pensiero che gli ha consentito di
affrontare questo pezzo con una coerenza stilistica esemplare, e anche i
passaggi più virtuosistici, come il pirotecnico finale, sono stati da lui
affrontati con innata eleganza. Non sempre in perfetta sintonia con il solista,
l’Orchestra del Teatro,
ben diretta da Fabio
Mastrangelo, si è comunque disimpegnata piuttosto bene
soprattutto nella sezione degli archi, molto compatti e dal suono avvolgente.
Applausi calorosissimi e due
strepitosi bis di area sempre russa, il cui repertorio è evidentemente quello
più congeniale al pianista: il celebre adagio dello Schiaccianoci trascritto da
Pletnev e la Toccata di
Prokof’ev.
La seconda parte della serata si
è aperta con La
Damoiselle élue, poema lirico per due soprani, coro femminile e
orchestra, su di un poema di Dante Gabriel Rossetti, op. 62. Composto fra il
1887 e il 1888, eseguito per la prima volta a Parigi l’8 aprile 1893 con dedica
a Paul Dukas (e riorchestrato nel 1902), è uno dei brani più suggestivi di
Debussy. Il compositore fu attratto nella poesia di Rossetti (che aveva anche
illustrato lo stesso soggetto in un affascinante quadro) dalla ambigua
commistione di elementi trascendenti, di estatica attesa e di desiderio carnale
occulto, attraverso i quali si dispiega il commosso anelito all’amore oltre la
vita invocato dalla fanciulla per il proprio amato. Caratteristiche che sono
pienamente emerse dall’ottima esecuzione dell’Orchestra, con la concertazione
di Mastrangelo che ha contribuito a rendere al meglio tutte le raffinatezze e
le suggestioni della partitura. Un valido contributo è venuto dal Coro femminile, istruito
come sempre con maestria da Fabrizio
Cassi, e dalle soliste Cecilia Molinari e Gaia Petrone, entrambe
mezzosoprani.
Il programma si è concluso
con Capriccio italiano in
La maggiore, op. 45 di Čajkovski. «La
genesi della composizione, iniziata a Roma nel gennaio 1880, corrisponde ad uno
dei pochi momenti felici del compositore durante il suo viaggio in Italia –
scrive nelle dotte note di sala Dinko Fabris - il quale toccò oltre Roma anche
Firenze, Venezia e Napoli, e condivide la medesima ispirazione della Serenata
per orchestra d’archi (op.48), che fu eseguita a Mosca solo due settimane prima
del Capriccio». L’affettuoso omaggio all’Italia del compositore
(che contiene anche arie veneziane, stornelli romani e una scatenata Tarantella
napoletana) è sempre stato accolto con favore dal pubblico, come è successo
pure in questa circostanza per merito evidentemente anche della buona
performance esecutiva.
La recensione si riferisce alla
serata del 24 settembre 2020.
Eraldo Martucci
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