Ci Stiamo Avventurando in terre incognite. Elezione dopo
elezione. Lo choc provocato dal referendum britannico legittima con il voto
popolare quella che possiamo definire la caduta dell’egemonia culturale delle
classi dirigenti europee, così come si sono affermate dalla Seconda guerra
mondiale in poi. (..). Con il voto democratico, cioè con lo strumento più
popolare e al tempo stesso sofisticato che tre secoli di cultura politica ci
hanno tramandato. Paradosso della Storia: lì dove un faticoso e travagliato
percorso ebbe inizio, con le rivoluzioni borghesi inglese e francese del XVII e
XVIII secolo proprio lì sembra interrompersi il patto costituente tra
rappresentanza politica e rappresentanti. “E la rivolta del popolo contro le
élite”, così Marine Le Pen raccontò l’insperata massa di voti raccolti nel
primo turno delle regionali lo scorso dicembre. E’ diventato il manifesto del populismo montante. Che ha
travolto lo stesso David Cameron: aveva
barattato il referendum sull’Europa in cambio di voti per assicurarsi la
rielezione appena un anno fa. Apprendista Stregone sarà ricordato come il
premier britannico più inadeguato e irresponsabile degli ultimi 70 anni. Le
generazioni del dopoguerra hanno sempre concepito la democrazia e la pace come
beni conquistati per sempre sulle macerie
del nazifascismo. Un’epoca durata a lungo, durante la quale le sorti
magnifiche e progressive del Vecchio Continente hanno assicurato sviluppo,
crescita sociale, welfare e cooperazione a chi aveva avuto la fortuna di vivere
dalla parte giusta del Muro di Berlino. (..) Un sogno utopico solo in parte
realizzato. Progressivamente scalzato nella percezione delle grandi masse, da
una teocrazia esoterica e intoccabile: “Ce lo chiede l’Europa…” è diventata,
non solo in Italia, l’ambigua formula
che a tutto obbliga e nulla spiega. (..). “Il Progresso Si Associa al timore di restare indietro, di
perdere la posizione sociale e il benessere guadagnati con fatica” dice Bauman
parlando della “forza degli incubi della decadenza di cui è foriero l’avvenire
minaccioso rande ”. La Grande Crisi scoppiata nel 2008 e dalla quale non siamo
mai usciti, è stata il detonatore di questa incertezza di massa. (..). Ma Non Sono Più le tradizionali forze di sinistra a farsi artefici del cambiamento. E’ il
populismo ad alimentarsi del malessere provocato da vaste aree di
ineguaglianza. L’interpretazione manichea trova così la sua sintesi: da un lato
il popolo vessato, dall’altro le élite privilegiate. E dentro i confini delle
élite ritroviamo non solo la City londinese, le banche, i governi e i partiti,
il mondo dell’informazione e chi più ne ha, più ne metta. (..) Appena un anno
fa, più o meno in questi stessi giorni, Angela Merkel e il suo ministro
Wolfgang Schaeuble spezzarono le reni alla Grecia dell’incauto Alexis Tsipras. L’euro
è salvo (forse), L’Europa no, fu il commento su questo giornale. Nei manuali di
economia non si studia l’orgoglio di una nazione. Presi per fame i greci,
costretti a umilianti file davanti ai bancomat, la crisi si è riproposta
moltiplicata al cubo nella potente Inghilterra. Senza che le classi dirigenti
avvertissero il rischio. Così, se è vero che il mercato globale e la finanza
internazionale non si candidano mai alle elezioni, abbiamo imparato in modo traumatico
che gli elettori se possono votano contro di loro, divinità inique di una
società ingiusta.
Luigi Vicinanza – Editoriale www.lespresso.it
- @vicinanzal – L’espresso – 7 luglio 2016 -
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