“Ora non ti disturbo, torno più tardi
se ti trovo” mi dice rallentando il passo. Dev’essere una strategia di
marketing nuova, penso mentre, leggendo il giornale sul lettino, sto prendendo il
primo sole di stagione. Qualcosa del tipo “ora ti lascio stare, evitiamo la
pantomima della contrattazione da spiaggia e per questo mi sei già in po’
grato, gratitudine che magari farà sì che al mio prossimo passaggio mi compri
qualcosa”. Il ragazzo appoggia la mercanzia per qualche secondo, più per
riposarsi che per esporla, poi in inglese mi saluta e salutandomi mi chiede,
lui a me: “Tu non sei italiano, di dove sei?”. La domanda mi stupisce, ma
capisco che è il mio inglese poco più che scolastico usato per tranquillizzarlo
circa l’ipotesi di disturbo ad averlo spiazzato. Poco abituato ad avere
conversazioni con la clientela da spiaggia, ancor meno abituato ad averne in
inglese, pensa per questo che io non sia italiano. Realizzo che l’immagine
dell’italiano da spaggia percepita da un ragazzo nigeriano arrivato due mesi fa
in Italia con l’aereo non sia granché, anzi.
Fosse solo la poca dimestichezza media con le lingue il problema, di
questi tempi un buon quarto di fnale agli europei sembrerebbe ancora bastevole
a rinforzare l’orgoglio venuto momentaneamente meno. Ma c’è dell’altro,
inevitabilmente. “Gli italiani pensano che siamo sporchi, che non ci laviamo,
che puzziamo. Quando ci vedono si spostano, non ti danno la mano, hanno paura”,
mi dice prima di chiedermi: “Tu sei mai stato in Africa? Ah, sei stato in
Senegal? Hai visto come ti hanno trattato?” Sì, in effetti quando sono stato a Dakar fui trattato molto
bene, anche se so quanto generalizzare sia sempre sbagliato, lo si faccia con
nigeriani, senegalesi o italiani, non
riesco a essere dialetticamente efficace, patriotticamente solido. Il ragazzo
ha ragione, lo so, non posso dirglielo come vorrei per non deprime troppo
entrambi, ma quello che dice è troppo spesso vero, e quanto a razzismo
percepito sulla propria pelle ha sicuramente più esperienza di me. Tutto ciò
accadeva a Cupra Marittima, provincia di Ascoli Piceno, a pochi chilometri da
Fermo, dove pochi giorni dopo un connazionale sarebbe stato ucciso da un
italiano, fascista del luogo. Emmanuel, ragazzo nigeriano fuggito con la moglie
da Boko Haram che gli aveva ucciso genitori e una figlia, dopo aver perso lungo
il viaggio per mare e per deserto un altro figlio e aver richiesto asilo in
Italia, dove è arrivato dalla Libia, ha difeso la moglie dalle offese razziste
di un italiano, e per questo è morto. La prossima conversazione sulla spiaggia
sarà, se possibile, ancora più complicata, imbarazzante. Ma la faremo, sempre e
comunque. E’ l’unica speranza che abbiamo.
Diego Bianchi – Il Sogno di Zoro – Il Venerdì di
Repubblica - 15 luglio 2016 -
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