Quando qualche
settimana fa D (Donna della Repubblica) ha festeggiato i suoi vent’anni, l’ha
invitata a immaginare i prossimi due
decenni sulla base di come sono andate le cose finora. Si può – ha scritto Lei
– ma le premesse sono tra le peggiori. Come sarebbero andate le cose (nei 20
anni appena trascorsi) Lei lo aveva del resto anticipato in Psiche e Techne, perciò il mio credito
alle 5 trappole sulla strada del
progresso da Lei illustrate è massimo. Di una sola affermazione tuttavia
non sono convinta: che sia finito il tempo della contrapposizione tra le
volontà del servo e del signore, i quali si troveranno sempre più dalla stessa
parte e avranno come controparte comune il mercato. Così è nell’analisi, ma la
realtà non mostra forse fra i “signori” i finanzieri col dito sul bottone e i
loro bracci armati nella politica e nell’imprenditoria multinazionale e
fra i “servi” i tantissimi giovani a cui
vengono offerti soltanto stage, tirocini, impieghi e lavori poco o niente
retribuiti, che possono contare sul sostegno familiare e la firma di papà per
ogni acquisto? Non è “servo” il papà stesso?
B.Franchi ettadf@libero.it
Non ho virtù profetiche, però se si
sta attenti al sottosuolo della storia, invece che alla sua superficie, dove
gli avvenimenti riferiti dai media hanno la durata di un giorno e poi sono
subito cancellati da altri avvenimenti, a loro volta destinati a durare un
giorno, qualcosa si intuisce. Ma per intuire correttamente occorre liberarsi
dalle proprie abitudini mentali, supreme forme di pigrizia deò pensiero, per
cui scartiamo, e con rabbia, tutto ciò che le contraddice. E’ necessario
liberasi, almeno quando si ragiona, dalle proprie fedi, che tra le nostre
opinioni sono le più intransigenti, perché mettono in gioco identità e
appartenenza. Annovero tra le fedi anche la laicità, quando diventa a sua volta
una religione, senza il minimo sospetto che sia una fede anche il non aver
fede. Soprattutto, occorre liberarsi dal terrore che il mondo possa andar
peggio di come è andato finora, per la semplice ragione che siamo cresciuti
nell’idea di progresso e, quando questo non era particolarmente evidente, ci
veniva suggerita la speranza. Come se “sperare”, “augurarsi”, “auspicare”,
tutte parole della passività che lasciano essere il mondo così com’è, potessero
difenderci dalla disperazione (sentimento che può provare solo chi ha sperato).
E così chi, facendo l’analisi dettagliata dei dati che al presente si offrono,
mette in guardia dal prefigurarsi scenari luminosi, di solito è accusato di
nichilismo, quando l’interlocutore è gentile. Altrimenti lo si ricopre dei
peggiori insulti (che stanno sempre al posto di argomentazioni mancate).
Aiutati in questa condotta dai talk show tv dove chi urla pensa di essere più
efficace di chi argomenta. E in un certo senso è davvero così, perché la tv che
ha 24 ore al giorno per dire ciò che dice, non ha mai tempo per un ragionamento
e perciò interrompe bruscamente chi ci
prova, per timore che lo spettatore cambi canale. E poi pretendiamo che i
nostri giovani imparino e trovino gusto a ragionare tra loro ? (..). Per quanto
riguarda il conflitto tra due volontà, quella del “servo” e quella del
“Signore” (da lei così ben descritto nella lettera che ho dovuto tagliare), che
è alla base della lotta di classe e anche della rivoluzione: certo che esiste
ancora, solo che oggi la signoria non è più del Signore, ma del Mercato,
divenuto mondiale. E di fronte a esso sia il servo che il Signore di una volta
si trovano dalla stessa parte, con la stessa volontà di reggere alle legg che
il mercato impone. Leggi che appaiono come puro calcolo matematico, quindi
senza volontà, anche se alle spalle del mercato si muovono, come lei dice,
potenze finanziarie, difficili da individuare le cui mosse sono imprevedibili,
come imprevedibili sono le mosse dei terroristi.
umbertogalimberti@repubblica.it
– Donna di Repubblica – 9 luglio 2016 -
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