Notizia: le due principali forze politiche
italiane – il Partito democratico e il Movimento 5 Stelle – sono d’accordo.
Notizia bis: il loro accordo non investe una normetta del mille
proroghe o una nomina di sottogoverno, bensì la riforma più riformatrice, l’innovazione
che può trasformare il senso stesso della nostra democrazia. Due mandati e
basta, ripete da tempo Luigi Di Maio. Non farò più di due mandati da Premier,
ha detto Matteo Renzi l’11 giugno, durante una conversazione pubblica con
Eugenio Scalfari. Entrambi, quindi, si riconoscono nella condanna pronunciata
da Max Weber contro i professionisti del consenso, contro chi vive “di”
politica, anziché “per” la politica. Entrambi s’oppongono alla politica come
professione, rievocando la celebre massima di Aristotele: se la tirannide è
monopolio del potere, allora in democrazia si governa e si viene governati a
turno. Siccome Renzi E Di Maio probabilmente si contenderanno il premio di
maggioranza stabilito dall’Italicum, questa loro intenzione comune avrebbe
potuto aprire un dibattito sui massimi sistemi, o magari sui massimi
problemi. Invece i nostri intellettuali
fanno spallucce sul secondo, prendono a spallate il primo. Anzitutto nel
merito: Renzi è un populista, dice così per raccattare qualche voto. Ma allora
furono altrettanto populisti i Greci, che la democrazia l’hanno inventata. D’Altronde Pure il nostro ordinamento, 25 secoli più tardi, ospita regole del medesimo
tenore. Il limite dei due mandati vale per i governatori regionali, per i
sindacati, per i membri delle authority. Vale per il Consiglio superiore della
magistratura, i cui componenti devono aspettare un turno prima di diventa
rieleggibili. Quanto alla Consulta, la Costituzione (art.135) è ancora più
severa: puoi esercitare quest’ufficio una sola volta nella vita. Nessun
divieto, viceversa, per il Consiglio; e infatti De Gasperi e Andreotti hanno
toccato il record di 7 presidenze. Da qui il proposito di Renzi, che si è anche
detto favorevole a tradurre in una disposizione scritta il divieto del terzo
mandato. Ma le sue parole sono state subito trafitte dalle matite rosse e blu.
Confonde il nostro sistema parlamentare con il presidenzialismo made in Usa, ha
obiettato per esempio Gianfranco Pasquino.Lì c’è un divieto esplicito, che ora
preclude a Obama la terza candidatura; invece i regimi parlamentari traggono
dalla flessibilità la propria virtù specifica, sicchè non pongono limiti ai
mandati di governo. Come dimostra l’esperienza di Adenauer (in carica dal 1949
al 1963), Thatcher (1979-1990), Gonzales (1982-1996). Vero, Anche Se gli
americani introdussero il divieto nel 1951, dopo la quarta rielezione d’un uomo
che pure si chiamava Roosevelt; giacchè la democrazia non può accettare un re.
Ma proprio, la flessibilità dei governi
apre larghi spazi alle convention, a regole non scritte ritenute perfino
più cogenti delle regole scritte. Dopotutto, il Regno Unito non ha nemmeno un
testo costituzionale. E in Italia la conventio ad excludendum negò al Pci per
un trentennio le chiavi del governo. Basterebbe perciò un patto d’onore, che a
sua volta generi una prassi condivisa dai partiti: nessuno può governare per
tre volte, o meglio in tre legislature (perché un governo può anche essere
breve, com’è accaduto a Letta). D’altronde, di Mussolini ce n’è già stato uno.
Basta e avanza.
Michele Ainis – Legge e libertà www.lespresso.it – michele.ainis@uniroma3.it – 30
giugno 2016 -
Nessun commento:
Posta un commento