Con la Brexit, l’Europa si trova
davanti a una sfida decisiva, nel senso che dalla risposta a essa ne va non soltanto della sua
configurazione, ma della sua stessa esistenza. Non è la prima volta che accade.
E neanche la peggiore. L’Europa moderna è stata essa stessa la risposta a una
serie di sfide mortali che hanno minacciato di travolgerla. E che invece, assunte nella serietà di una
scelta tra la vita e la morte – è il significato del termine greco “crisi” – ne
hanno rafforzato le istituzioni. Dalle guerre di religione nel Seicento, quando
Hobbes teorizzò la sovranità degli Stati europei, alle guerre napoleoniche,
quando i francesi, sconfitti, diffusero in tutta l’Europa continentale il
codice che ancora costituisce l’ossatura delle nostre legislazioni. Allo
scontro finale con il fascismo, che ha rafforzato le democrazie occidentali,
provocando alla dine, anche la caduta del Muro di Berlino, in tutte queste
circostanze la sfida ha prodotto una risposta all’altezza del rischio. Di più,
l’Europa ha adoperato la crisi come spinta per un passaggio in avanti. Si è
stretta intorno ai propri valori ultimi, senza lasciare che le forze
distruttive avessero il sopravvento. Ciò è stato possibile in un solo modo.
Considerando le istituzioni più importanti e durature degli uomini che di volta
in volta le rappresentano. Anche allorché un leader incauto scommette di
legarle al proprio destino personale, incurante del pericolo che fa correre al
suo Paese e alla comunità più ampia di cui esso fa parte. Quando ciò accade,
quasi sempre provocando la fine politica di quel leader, l’unica strada aperta
è quella di non ridimensionare l’entità della sfida in atto, accettando di
affrontarla a viso aperto, senza più illudersi che le cose possano aggiustarsi
da sole con il tempo. (..). L’Europa ha avuto e continuerà ad avere un rapporto
vitale con il proprio fuori, come ha fatto con l’America e come dovrà fare con
la Russia. Ma il “fuori”, una volta tale, deve servire anche a ridefinire a
consolidare il “dentro”, il suo nucleo centrale. Che per noi non può che essere
il triangolo tra Germania, Francia e Italia, col necessario apporto della
Spagna. L’Europa è nata nel rapporto e nella tensione tra latinità e
germanesimo. E’ su questa cultura, nel senso più ampio del termine, che occorre
puntare. Per troppo tempo le istituzioni europee si sono piegate agli interessi
e anche al linguaggio anglosassone, mimandone in modo spesso ridicolo
formulazioni e procedure. E’ arrivato il momento di uscire da questa
subalternità culturale che ha svenduto il patrimonio inestimabile della cultura
europea, a favore di logiche orientate a interessi che ormai non sono più i
nostri. Ripeto: la relazione, il transito, lo scambio con l’esterno è vitale
per tutti. Ma per potersi rapportare agli altri, bisogna intanto imparare a
essere se stessi.
Roberto Esposito – Alfabeto politico – www.lespresso.it – L’Espresso – 7 luglio
2016 -
Nessun commento:
Posta un commento