Hi dear Diego! I’m so thankful about the film thet you were able to picture the reality
in the jungle,mi
scrisse Osama, 30 anni, siriano di Aleppo, dopo aver visto il servizio che a
inizio anno avevo realizzato nella jungle
di Calais. Mi ringraziava da Calais, Osama, per aver rappresentato la realtà di
quel posto; era fine gennaio, la jungle
stava per essere smantellata e lui e altre migliaia di persone non perdevano la
speranza di riuscire un giorno a passare di là, in Inghilterra. Ammassati da
mesi nel limbo di disperazione e sopravvivenza mediaticamente noto come jungle,
dopo rocamboleschi e drammatici viaggi fatti per mare e per terra, lui e quelli
come lui passavano le giornate cogliendo l’attimo utile per saltare su un
camion diretto oltremanica. Erano europeisti più di molti europei,
inconsapevoli sostenitori del Bremain
prima che ogni Brexit prendesse il
sopravvento. Le parole di Osama,
conosciuto nel cuore di una notte passata a respirare i lacrimogeni che la
polizia tirava a pioggia sugli immigrati, mi avevano fatto bene. Il servizio
gli era piaciuto e questo basta per sentirmi gratificato. Sentivo la
responsabilità e il privilegio di aver condiviso la quotidianità della jungle
con chi in quel posto sarebbe rimasto
ancora per molto. E con il rischio dell’oblio una volta spente le telecamere.
L’unico modo per alleggerire il peso che ti porti ogni volta che saluti e ti
lasci le storie alle spalle è raccontare quello che hai visto nel modo più
onesto possibile. I contatti con chi si
racconta sono sempre volatili, precari come una carta telefonica che cambia, un
telefonino che si perde o si rompe. Ogni tanto ci si scrive due parole, con la
paura di chieder troppo e la coscienza che ti fa sentire in colpa per non aver
fatto abbastanza. Osama l’avevo salutato di notte, dopo esser andato con lui
nella jungle “emergente” di Grande Synthe a constatare che in fondo si stava
meglio in quella di Calais. Guardando le
acque del porto nelle quali aveva già nuotato invano due volte, ci eravamo
salutati sognando Brighton, sua meta ideale. “Quando arrivi di là scrivimi,
voglio essere tra i primi a saperlo”, gli avevo detto abbracciandolo. Frasi di
circostanza ma sincere, pacche sulle spalle dell’anima di chi sa che dovrà
comunque cavarsela da solo. Ma in certi contesti nessuna frase casca per terra
senza senso. Tutto si raccoglie, di tutto si fa tesoro. Ragion per cui, due
giorni dopo la Brexit, Osama mi ha scritto: Hello
Mr.Diego, finally I am in England. Era felice Osama e voleva mantenere la
promessa. Ci rivedremo, e mi racconterà come ha fatto.
Diego Bianchi – Il Sogno di Zoro – Il Venerdì di
Repubblica - 8 luglio 2016 -
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