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giovedì 7 luglio 2016

Lo Sapevate Che: Ormai la classe operaia non va più in paradiso. E neanche all'università...



L’immagine potrebbe sembrare un tantino abusata, ma ha il merito di descrivere con efficacia quello che sta accadendo nella scuola e, di riflesso, nella società. Gli anni in cui i figli dei contadini e degli operai diventano medici e ingegneri sembrano lontani. In altre parole, l’ascensore sociale italiano è in panne. Gli ultimi dati sulle immatricolazioni dell’anno accademico 2015-2916, se declinati in base al diploma di accesso all’università, descrivono un quadro allarmante: le famiglie meno (economicamente) fortunate fanno sempre più fatica a garantire ai figli l’accesso agli atenei. Dato che fa il paio con la scarsa fiducia di studenti e genitori nell’idea che l’istruzione possa essere ancora un mezzo per salire qualche gradino nella scala sociale. A testimoniarlo sono i dati forniti dall’anagrafe degli studenti universitari del Miur. Dal 2005-2006 al 2015-2016 la quota di neoiscritti negli atenei italiani in uscita dagli istituti tecnici e professionali – notoriamente più frequentati dai figli di operai e impiegati – è passata dal 40 per cento ad appena il 26,4 per cento. Un tonfo di 14 punti recuperati dai liceali, che hanno incrementato la propria presenza nelle aule universitarie dal 51 al 67 per cento. Un exploit solo in parte giustificato dall’aumento delle iscrizioni nei licei. Perché ancora oggi il 51 per cento di chi frequenta l’ultimo anno delle scuole superiori è costituito dagli studenti dei tecnici e dei professionali. E dopo? I numeri dicono che si iscriveranno all’università tre liceali su quattro e solo un ragazzo con il diploma tecnico o professionale su quattro. Una situazione ancora più complicata al Sud, dove la loro presenza si riduce a uno studente su cinque. Per il sociologo Domenico De Masi “l’incremento delle tasse universitarie e l’introduzione del numero chiuso ha finito per scoraggiare i più deboli. In Germania hanno da poco cancellato le tasse universitarie mentre da noi aumentano sempre”. Secondo Gianfranco Viesti, economista che insegna all’Università di Bari, “l’ipotesi più ragionevole è che questo dipenda dall’aumento  del costo dell’università con tasse in crescita del 55 per cento negli ultimi dieci anni(il maggiore dopo il Regno Unito) in presenza di redditi familiari in contrazione. Ma vedo anche un effetto “scoraggiamento” sull’utilità della laurea, in presenza di una riduzione del tasso di occupazione laureati. Effetti che incidono in modo particolare al Sud perché, conclude l’economista, “le tasse universitarie aumentano più della media nazionale, i redditi delle famiglie cadono più della media nazionale e il tasso di occupazione dei laureati scende più che altrove”.
Salvo Intravaia – Italia + - Il Venerdì di Repubblica – 1 luglio 2016 -

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