I media che ci affliggono quasi ogni
giorno con pettegolezzi su personaggi irrilevanti non ci hanno mai parlato di
Yngve Slyngstad, nome impronunciabile e sconosciuto dietro il quale si cela un
cinquantenne dall’aria gioviale: uno degli uomini più potenti della Terra.
Slyngstad è l’amministratore del fondo pensioni della Norvegia, il più
importante fondo sovrano del Pianeta. Stiamo parlando di quasi 900 miliardi di
dollari, più dei fondi sovrani di Qatar, Emirati o Abu Dhabi, con i quali
condivide l’origine: petrolio. Questa montagna di soldi, in grado di scatenare
l’ira di Dio sui mercati mondiali, per fortuna dipende da un comitato etico e
scientifico, composto da esperti in vari campi, ma anche associazioni e
filosofi, e dè dunque chiamato a seguire criteri di investimento molto rigidi.
Non può comprare per esempio azioni di aziende coinvolte nel mercato delle
armi, in produzioni inquinanti o dannose per la salute, come i fabbricanti di
sigarette. Per questa ragione, dopo lo scandalo del Dieselgate, ha annunciato
di voler fare causa alla Volkswagen, di cui è il quarto azionista. Ma ora il
capo ha proposto di spingersi oltre al Financial
Times ha rivelato di voler proporre al consigli d’amministrazione di non
acquistare titoli di aziende doce i manager guadagnano troppo. La Norvegia è
uno di quei Paesi più ricchi del mondo, ma anche uno dei meno diseguali. Quando
gli inglesi dicono che dopo la Brexit l’unica via di uscita è “il modello
norvegese” sarebbe bello che lo copiassero davvero, non soltanto negli accordi
commerciali con l’Unione. E’ una buona notizia, quella dei fondi norvegesi, ma
dovrebbe far riflettere i difensori dell’establishment, schierati contro la
cosiddetta antipolitica, su quanto la politica abbia ormai abdicato ai propri
compiti. Dovrebbero essere i governi e i parlamenti e non un fondo norvegese o
papa Francesco a preoccuparsi di moralizzare e porre dei freni all’impazzimento
del turbo capitalismo che rischia di portarci tutti alla catastrofe. Non si
tratta di fare la rivoluzione, ma di correggere una spaventosa crescita
dell’ingiustizia sociale che ingrossa ogni anno, anzi ormai ogni mese, le file
dei poveri, degli esclusi. E pretende alla fine pure di colpevolizzarli perché
scelgono disperatamente qualcuno fuori dal sistema che possa rappresentare la
loro sofferenza e i diritti calpestati. Invece di spargere retorica a piene
mani, perché non si propone qui e subito una legge per stabilire un tetto ai
guadagni dei manager e privati?
Curzio Maltese – Contromano – Il Venerdì di Repubblica - 9 luglio 2016 -
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