Tutte Le Volte che succede, ti dici: ma allora
l’Italietta ha grandi ricchezze ambite e contese. Tutte le volte che lo
straniero si annette una banca, una maison di moda, un pezzo di made in Italy,
ti rendi conto del potenziale di un Paese
straordinariamente vitale. Nonostante corruzione, burocrazia, mafie. E
però, ogni volta, siamo qui a chiederci
perché poi non se ne prenda coscienza, perché non si giochi a fare per
una volta i cacciatori e non le prede. O almeno i difensori degli interessi
nazionali. Nelle grandi banche italiane siedono spagnoli, tedeschi, francesi;
Pirelli è cinesi, Italcementi tedesca, per non dire dei mitici marchi del lusso
comprati a suon di milioni da emiri arabi. La Telecom parla francese. (..)
Assieme a un paio di partecipazioni amiche, i francesi controllano quasi il 38
per cento di Telecom. Ma se si tratti di soci amichevoli o di spregiudicati
raider non è dato sapere, anche perché non siedono ancora nel cda. Ma si sa che
se volessero raggiungere quota 51 per cento, potrebbero contare su alleati
importanti. (..). Eppure, o ci si muove adesso o si finisce in braccio al più
forte perché in un mercato sempre più vasto non bastano le dimensioni locali:
negli Usa i gestori sono quattro, in Europa una sessantina. Troppi. (..) E Telecom? E’
come se non fossero passati vent’anni se stiamo ancora qui a domandarci chi
alla fine ne prenderà il controllo. Allora D’Alema si lamentava che non ci
fosse cordata italiana disposta alla battaglia, oggi non solo non c’è, ma si dà
per persa la partita. Eppure Telecom investirà 12 miliardi per disporre
finalmente di una rete a banda ultra larga per dati e immagini (sono in arrivo
Netflix e la tv on demand), visto che finora nessuno degli scalatori se n’è preoccupato.
Ma di quei 12 miliardi, 7 sono pubblici, e chi controlla Telecom controlla
anche la rete. Del resto, Romano Prodi rischiò dieci anni fa una crisi di
governo solo perché voleva che la rete fosse pubblica, e sul tavolo di Matteo
Renzi è fermo un progetto per trasferirla a Cassa depositi e prestiti. Certo, Telecom è
un’azienda privata, e dunque il governo non dovrebbe condizionarne le scelte e
strategie. Ma accertarsi che queste non danneggino il Paese, sì. Anche perché
le questioni che il gruppo deve risolvere non sono affatto banali. Per esempio:
vendere Sparkle, la rete Internet internazionale? Cedere il ricco boccone di
Tim Brasil o invece investire per diventare l’operatore numero uno in Brasile?
Il piano per la banda ultra larga prevede accordi o fusioni con media company?
Con Mediaset, con la Rai? Quali saranno i passi successivi, un più massiccio ingresso
di francesi o spagnoli? E come essere certi che i loro interessi non siano in
contrasto con quelli del Paese? Che cosa intende il governo quando dice che
“Telecom è strategica”, forse che finirà il suo destini di preda? E chi deve
rispondere a queste domande, l’ad Patuano o l’azionista di riferimento Bolloré?
Forse il presidente del Consiglio.
Bruno Manfellotto – Questa Settimana www.lespresso.it - @bmanfellotto - 12 nobembre 2015
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