“Quindi bisogna vedere se regge la cannuccia?” chiedo a
un certo punto, nel pieno dell’ennesima diretta di Radio Street sulla crisi
idrica di Messina. Si discorre con ansia crescente della nave che in tarda
serata arriverà al porto gonfia di cinque milioni di litri d’acqua utili a
dopare la rete idrica della città semivuota da sei giorni. Lo svernamento tanto
atteso, se fatto con troppa passione, potrebbe far saltare le tubature. E’ una
delle tante paranoie locali dettate dal panico degli allarmi rossi dati a
prescindere, dalle inondazioni tanto annunciate quanto letali e dalla mancata
percezione di una guida certa nella gestione dell’emergenza. Qui, 2015, Italia,
da sei giorni manca l’acqua nei rubinetti e negli sciacquoni dei bagni. Due
terzi della città, ospedali compresi, si lava da quasi una settimana usando
secchi e tanniche. Una situazione del genere l’ho vissuta solo nella periferia
di Dakar, Senegal, anni fa. Ci si lavava col secch ione d’acqua che le donne
avevano portato sulla testa dalla fonte “sacra” fino a casa. In Italia quando
piove c’è da aver paura, anche e soprattutto nelle province di Messina e
Catania, dove le montagne hanno ripreso a franare. Quando va male, come a
Giampilieri nel 2009, si contano i morti (allora 37). Quando va “bene”, la
frana rompe le condutture levando l’acqua a migliaia di persone. Che si mettono pazientemente in fila dietro
le autobotti per riempire quel che hanno, fino all’orlo. Dopo una settimana di
Twitter e polemiche, a Calatabiano avrebbero riparato il guasto, l’acqua
lentamente starebbe tornando, mentre secchiate di pioggia accolgono il
bastimento carico d’acqua potabile, arrivato tra vento e diluvi. Il comitato
d’accoglienza è scarno, fatto di poche telecamere e sparuti responsabili in
disparte il giusto per dissolversi alla prima difficoltà, ovvero quando le
tubature mezze marce saltano come cannucce bucate appena il doping inizia a
defluire e un geyser d’acqua potabile, attesa dalla città come fosse santa,
sfida la pioggia che scende. “Dove sono i responsabili del porto?” chiede
invano un membro dell’equipaggio della nave. Saranno loro, i ragazzi di un
equipaggio pagato per portare acqua alle isole, a sacrificare la notte
riparando il guasto. Il giorno dopo, messa la pezza, col solo l’acqua scorre.
Ma pioverà di nuovo e bypass salteranno. “Il ponte sullo Stretto di Messina si
farà, ma pensiamo prima alle emergenze” avrà l’ingenuità o l’ardire di dire
Renzi a Vespa per lanciare la prossima strenna natalizia del conduttore. In
certi casi, sembra che possa piovere per sempre.
Diego
Bianchi – Il Sogno di Zoro – Il Venerdì di Repubblica -
Nessun commento:
Posta un commento