E’ la Germania la malattia dell’Europa?
Dopo la vittoria totale e perfino umiliante sulla Grecia, con l’imposizione di
un nuovo e più feroce memorandum ai ribelli, il ruolo di potenza egemone
sembrava essersi definitivamente affermato senza più possibilità di resistenze.
Ed è stato invece proprio a questo punto che la locomotiva d’Europa ha
cominciato a perdere colpi. Lo scandalo della Volkswagen, una truffa ai danni
di milioni di consumatori, ha sfregiato l’immagine di guida anche morale del
colosso tedesco e, in termini più concreti, ha sfregiato, ha messo in ginocchio
un pilastro dell’industria automobilistica, il cuore di un modello produttivo
votato all’esportazione di prodotti ad alta tecnologia. La crisi e le
svalutazioni cinesi avevano già tolto alla Germania l’illusione di poter
compensare il continuo calo dei consumi in Europa con l’esplosione dell’Export
verso l’Asia. Non bastasse, nubi nerissime si addensano sul destino della cassaforte
dell’impero, la Deutsche Banck, il cui possibile fallimento è ormai un’ipotesi
seriamente considerata negli ambienti economici internazionali e dalle agenzie
di rating. Il gigante del sistema bancario è sotto processo per reati che vanno
dalla manipolazione dei tassi al riciclaggio di denaro, nel frattempo accumula
cifre da paura, fra perdite record (6 miliardi nell’ultimo trimestre), tagli
dei posti di lavoro (15 mila) e chiusure di filiali in mezzo mondo. Un quadro
complessivo che ricorda quello della Lebman Brothers prima del fallimento.
L’ideologia tedesca si è indebolita nel continente e la cancellieri di Berlino
perde un governo alleato a ogni elezione, dopo la Grecia, la Polonia, che
sembrava il più fedele, e ora il Portogallo. L’austerità è sotto accusa ovunque
e il suo dogma, il Fiscal Compact, non è applicato ormai da nessun Paese
europeo, Italia compresa. Si trattava, del resto, di una follia pura. Così come
ha perso ogni significato l’ossessione tedesca per la lotta all’inflazione, in
tempi di deflazione galoppante. Ed è curioso come i tedeschi non ricordino che
il nazismo non fu prodotto dall’inflazione dei primi anni Venti, ma piuttosto
dalla disoccupazione di massa degli anni successivi, frutto allora come oggi di
un eccesso di rigore finanziario. Certo la Germania rimane la potenza egemone,
ma è come se avesse smarrito la rotta all’improvviso alla cieca, trascinandosi
dietro gli sgangherati vagoni dell’Unione, in un tunnel del quale non si vede
l’uscita.
Curzio Maltese – Contromano – 6 novembre 2015 -
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