(..) Il problema è che noi diciamo, loro
fanno, Anzi disfano: alleanze, partiti, gruppi parlamentari, ma soprattutto
impegni e giuramenti sottoscritti con il popolo votante. Nel primo biennio
della legislatura i cambi di casacca sono già 300, come gli eroi riuniti
attorno a Carlo Pisacane. Loro erano giovan e forti, e sono morti. Questi
appaiono vecchiotti e deboli di spirito, ma sono vivi e vispi. Le loro truppe
intruppano più di dieci fanti al mese, marciando a passo d’oca verso un solo
approdo: la maggioranza di governo. Che li accoglie a braccia spalancate,
soprattutto al Senato, dove i numeri corrono sul filo del rasoio. E difatti i
senatori che hanno abbandonato il proprio gruppo fin qui sono 112: oltre uno su
tre. Sennonchè In Democrazia le teste si contano, invece di tagliarle. E le voci
s’ascoltano, nella ricerca di un’intesa. Il Parlamento costituisce per
l’appunto il luogo nel quale ci si parla, ci si confronta tra maggioranza e
opposizione; l’essenza della democrazia parlamentare è il compromesso, come
diceva Kelsen. Ma nessun compromesso sarebbe mai possibile se ciascun eletto
fosse rigidamente vincolato al mandato ricevuto dai propri elettori. Così come
risulterebbe impraticabile l’elezione del presidente della Repubblica, nel caso
in cui tutti i partiti tenessero le loro “quirinarie”, emulando i 5 Stelle.
(..).Però Una Via D’Uscita C’E’: il recall. Ossia la revoca degli eletti
immeritevoli, attraverso una sorta di referendum personale sulla loro permanenza
nella carica elettiva. Un istituto che esiste in mezzo mondo, e che Woodrow
Wilson – 28° presidente degli Stati Uniti – definì suo tempo “la salvaguardia della politica”.
Il guaio è che il recall funziona per gli organi monocratici, non per quelli collegiali
Potrebbe anche applicarsi ai singoli parlamentari, se ciascuno di loro fosse
eletto in un collegio uninominale. Ma quando ogni collegio ne esprime, per
esempio, sette (è il caso dell’Italicum, e a maggior ragione del Porcellum che
ha generato questo Parlamento), la maggioranza avrebbe gioco facile ad
accaparrarsi tutti i posti. I primi quattro attraverso le elezioni; gli altri
tre con altrettanti recall sui parlamentari della minoranza. E Dunque, Siamo
con le spalle al muro? Dovremo rassegnarci a chiedere anche noi un passaggio
sul taxi di Verdini? Non è detto. Il nostro paradiso, e al contempo il loro
inferno, sta nei regolamenti parlamentari. Giacchè se non possiamo revocarli,
se non possiamo nemmeno vincolarli con un mandato imperativo, possiamo pur
sempre castigarli. Come? In primo luogo, impedendo ai fuoriusciti di costruire
un gruppo autonomo in corso di legislatura: tutti nel gruppo misto, dietro la
lavagna. In secondo luogo, imbavagliando chi abbandona il partito col quale si
è candidato alle elezioni: transfughi e trasformisti rimangano pure in
Parlamento, votino pure le proposte altrui, però in silenzio, così almeno ci
verrà risparmiato il turpiloquio. In terzo luogo, dimezzando a queste truppe
cammellate lo stipendio. Loro ci raccontano d’aver cambiato schieramento per
l’idea, anzi per l’ideale; non certo per quattrini. Vediamo un po’ se è vero.
Michele Ainis – Legge e libertà www.lespresso.it – michele.ainis@uniroma3.it – 29
ottobre 2015
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