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domenica 1 febbraio 2015

Lo Sapevate Che: Sentimenti liquidi in tempi duri...



C’è un problema che mi appassiona, riducibile per brevità a due definizioni: “società liquida” o “società rigida”. (..), so che lei sostiene la rigidità dell’attuale società, richiamandosi alle strutture economiche del mondo contemporaneo fondato sull’assolutezza dei mercati che riducono all’impotenza i singoli individui. Morte di ogni forma di umanesimo in nome del dio denaro. E in tutto ciò concordo con lei. Ma il sociologo polacco Zygmunt Bauman propende per la “liquidità della società” con riferimento alla fine delle ideologie e alla perdita di punti di riferimento tradizionali e sicuri: dallo Stato, ai partiti, ai sindacati, al lavoro, alla famiglia. Ora, vorrei chiederle se la sua contrapposizione a Bauman dipende dal tipo di approccio all’analisi della società, che per lei è innanzitutto economico e per il suo collega, direi, antropologico. E in buona sostanza se sia più disperante “sentirsi” rigidi o liquidi.
Giuseppe Gardella – Genova
Le sue considerazioni che individuano le differenti analisi della società contemporanea condotte da Zygmunt Bauman e da me è corretta. Bauman definisce “liquida” la nostra società perché sono venuti meno i punti di riferimento fondamentali che le davano forma e struttura, e al loro posto è subentrata una totale libertà dell’individuo che può scegliere il proprio stile di vita a prescindere da usi, costumi e tradizioni, fino al nuovo modo di intendere la libertà come possibilità di revocare tutte le scelte, e di non attenersi ai valori alla base delle società tradizionali antecedenti alla globalizzazione. Quello che dice Bauman è vero solo perché il sociologo polacco “constata”, senza chiedersi le ragioni di ciò che constata. Ebbene a mio parere la nostra società s’è fatta “liquida” perché, senza che nessuno se ne accorgesse, una massiccia colata di cemento ha imbrigliato tutta l’acqua in una diga, disseccando il letto del fiume in cui l’acqua correva. Questa colata di cemento di chiama “razionalità tecnica” che prevede si compiano solo azioni capaci di raggiungere lo scopo con l’impiego minimo dei mezzi. (..). La morale tradizionale che regolava i costumi dei nostri padri e dei nostri nonni non ha più ragione d’essere, perché è subentrata una regola ben èiù ferrea della morale, la regola della razionalità tecnica che, a differenza della morale tradizionale, non prevede il perdono per le deroghe e le trasgressioni, ma nel caso del lavoro il licenziamento, la perdita del ruolo, e alla fine l’emarginazione sociale. La chiamiamo “liquida”, questa società dove ciascuno all’apparenza fa quel che “vuole”, quanto per cinque giorni alla settimana fa rigorosamente quel che “deve” e nei giorni festivi quel che “può”? La razionalità tecnica, che impone uno stile efficiente, produttivo, utilitaristico, ottimizzante nei suoi risultati, confligge radicalmente col mondo della vita che si nutre di azioni all’apparenza inutili ma gratificanti, al limite del superfluo ma ricche di godimento, sovrabbondanti nell’effusione del linguaggio, come accade nell’amore dove la razionalità tecnica si limiterebbe a dire “ti amo” e poi più nulla perché il resto sarebbe pura enfasi. E così, impoveriti nel linguaggio sempre più funzionale, nei gesti sempre più finalizzati, nelle emozioni da contenere come fattori di disturbo, nei sentimenti resi atrofici perché disturbano i processi razionali, dobbiamo dirci “liquidi” o, come diceva Max Weber già all’inizio del secolo scorso, imprigionati in una “gabbia d’acciaio”, dove i giovani non a caso recalcitrano a entrare?
umbertogalimberti@repubblica.it – Donna di Repubblica 24 gennaio 2015

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