“Tra il 21 e il 22
agosto 1911 l'italiano Vincenzo Peruggia rubò la Gioconda di Leonardo da Vinci
mettendo a segno il furto d'arte più famoso della storia.”
“E ora
ridateci la Gioconda”.
A chi di voi non si stampa un sorriso compiaciuto sul volto nel ricordare
questo slogan?! Eppure i francesi sono innocenti, e la rocambolesca storia
della Gioconda di Leonardo da Vinci, può confermarlo.
Tra il
1502 e il 1503, Leonardo si trovava a Firenze e accettò di buon grado l’offerta
del mercante Francesco del Giocondo che, nel tentativo di ostentare la propria
ascesa sociale, gli commissionò il ritratto della moglie, Lisa Gherardini. Il
mercante, però, non aveva fatto bene i conti con la risaputa mania di
perfezione del maestro che lavorò al dipinto per ben quattro anni; nel 1507 lo
portò con sé a Milano e continuò a ritoccarlo ancora fino al 1513. Morale della
storia: il ritratto non fu mai consegnato ai due coniugi del Giocondo, anzi nel
1517 prese addirittura la via della Francia. Leonardo lo portò con sé ad
Amboise quando fu chiamato a lavorare come pittore di corte presso il re
Francesco I e dopo la sua morte la Gioconda entrò
a far parte delle collezioni reali francesi, per poi essere trasferita di volta
in volta nelle varie residenze dei sovrani succedutisi, fino ad approdare nel
museo simbolo della rivoluzione, il Louvre, senza destare particolare
attenzione. Napoleone la spostò nuovamente per ornare la camera da letto di
Joséphine alle Tuileries, ma tornò poco dopo al Louvre dove artisti e scrittori
- ormai nel pieno della temperie romantica - iniziarono a guardare Monna Lisa
con occhi diversi. Nell’immaginario collettivo la donna dal sorriso sardonico
divenne l’emblema della sensualità femminile, una femme fatale, avvolta da un
alone di mistero e di alchimia, come del resto è successo per il suo autore,
artista, scienziato, genio, quasi mago.
La fama
del dipinto è cresciuta poi a dismisura in seguito a questa singolare vicenda:
la mattina del 22 agosto 1911 il pittore francese Louis Béroud si era recato di
buon’ora al Louvre, chiuso al pubblico come ogni lunedì, per svolgere il suo
lavoro da copista. Aveva intenzione di ritrarre proprio la Gioconda. Ma giunto davanti
alla parete si accorse che il quadro non c’era. Davanti a lui il muro era vuoto
e il dipinto sparito.
Quegli
attimi ci vengono raccontati da un articolo pubblicato su Le Figaro, nell’edizione del
23 agosto. All’inizio, il brigadiere Poupardin, allertato da Béroud, pensava
che la Gioconda fosse
stata spostata nello studio fotografico Braun, dal quale il Louvre si riforniva
e che era autorizzato al trasporto delle opere per fotografarle (a condizione
di non spostarle negli orari di apertura del museo al pubblico). Tuttavia, il
quadro non si trovava nell’atelier e ci si dovette render conto dell’evidenza
che era stato rubato, e che dell’opera non rimanevano che la cornice e il
vetro, abbandonati dal ladro all’interno del Louvre. Le sale furono evacuate,
tutte le porte del museo furono chiuse e il personale fu subito convocato per i
primi interrogatori di rito.
Si
trattava del primo grande furto di un’opera d’arte da un museo: il colpo del
secolo. Immediatamente la polizia francese iniziò ad interrogare tutti coloro
che erano stati al Louvre durante alcuni lavori di manutenzione, ma senza alcun
risultato. Alcuni sospetti caddero su un gruppo di operai che il giorno
precedente, il lunedì (già allora giorno di chiusura al pubblico), era stato visto
davanti alla Gioconda,
ma risultò che erano puliti. Furono poi sospettati Apollinaire e Picasso (il
primo anche arrestato) per aver sempre palesato la voglia di svuotare i musei e
di riempirli con le loro opere. Ovviamente si trattava di megalomanie da
artisti. Le autorità francesi pensavano addirittura ad un colpo di Stato dei
tedeschi, che non solo stavano tentando di rubargli le colonie in Africa, ma
tentavano anche di depredarli dei loro capolavori. Insomma, le pagine dei
giornali parlarono a lungo della vicenda e il Louvre rimase per ben due anni
sconvolto e senza la sua Monna Lisa, fino al 1913, quando il quadro comparve a
Firenze.
A raccontarne le circostanze
fu, qualche tempo dopo, la Cronaca
delle Belle Arti. Il 24 novembre, un antiquario fiorentino, Alfredo
Geri, ricevette una lettera, firmata “Leonardo V.”, in cui gli veniva proposto
di acquistare proprio la Gioconda.
“Ne saremo molto grati se per opera vostra o di qualche vostro collega, questo
tesoro d’arte ritornasse in patria e specialmente a Firenze dove Monna Lisa
ebbe i suoi natali, e che saressimo in ispecial modo lieti se un giorno futuro
e forse non lontano fosse esposta alla Galleria degli Uffizi al posto d’onore e
per sempre. Sarebbe una bella rivincita al primo impero francese, che, scalando
in Italia, fece man bassa su una grande quantità di opere d’arte per crearsi al
Louvre un grande museo”: questo era quanto il fantomatico “Leonardo V.”
scriveva a Geri nella lettera. L’antiquario la segnalò al direttore degli
Uffizi, Giovanni Poggi (Firenze, 1880 - 1961): insieme si accordarono per
incontrarsi con “Leonardo V.”: l’incontro fu fissato per l’11 dicembre presso
il negozio di Geri. Di lì poi si sarebbero spostati all’hotel dove lo strano
personaggio alloggiava e dove aveva nascosto il quadro. Al loro cospetto si
presentò dunque l’impavido Lupin,
che altri non era che un imbianchino italiano, Vincenzo Peruggia (Dumenza, 1881
– Saint-Maur-des-Fossés, 1925). Il nostro compatriota, ignaro della vicenda
collezionistica dell’opera, aveva avuto la nobile quanto assurda idea di
restituire all’Italia quel capolavoro che pensava ci fosse stato rubato da
Napoleone.
Il
direttore degli Uffizi, accertatosi del fatto che quella era la vera Gioconda, diede
comunicazione alle autorità, e il prefetto fece arrestare il ladro. Durante il
suo interrogatorio, Peruggia raccontò di aver lavorato al Louvre: era stato lui
stesso a montare la teca che custodiva il dipinto. Quando decise di
architettare il furto gli fu facile entrare nel museo perché sapeva come eludere
la sorveglianza. Passò tutta la notte rintanato nello sgabuzzino, poi di
buon’ora, smontò la teca, prese il dipinto, lo avvolse nel suo cappotto e uscì
indisturbato. Prese perfino un taxi per tornare nella pensione parigina in cui
alloggiava, chiuse il dipinto in una valigia che nascose sotto il letto, e lì
restò confinato senza destare alcun sospetto per ben 28 mesi.
Il
processo si svolse nel giugno del 1914 a Firenze (nel frattempo, la Gioconda era già
tornata al Louvre). Peruggia, al quale fu peraltro riconosciuta l’attenuante
dell’infermità mentale e di conseguenza la sua mancanza di pericolosità per la
società, fu condannato ad un anno e mezzo di prigione, ma la sua ingenuità
destò simpatia nel pubblico che avrebbe voluto per lui una pena più indulgente.
Ovviamente ricordare oggi la
singolare vicenda del furto della Gioconda non
significa affatto giustificare lo sconsiderato gesto dell’imbianchino Peruggia
(che spinto da semplicistico patriottismo si aspettava addirittura un ringraziamento
e una ricompensa dallo Stato italiano), ma soltanto indurci a riflettere sul
fatto che spesso le opere d’arte hanno superato i secoli della storia
portandosi dietro tutta una serie di complesse vicende collezionistiche e, come
spesso accade, una scia di falsi miti fuorvianti duri a morire (rimando ad
un precedente articolo di Finestre sull’Arte); inoltre la maggior parte delle opere avevano
le più disparate destinazioni d’uso e non erano state realizzate per avere come
fine l’esposizione in un museo, un luogo ultimo in cui farle approdare per
conferire loro una migliore conservazione e fruizione da parte del pubblico.( di Ilaria Telesca , scritto il 21/08/2017, 23:00:12
Categorie: Opere e artisti / Parole chiave: Rinascimento - Leonardo da Vinci - Cinquecento - Arte antica)
https://www.finestresullarte.info/opere-e-artisti/furto-della-gioconda-vincenzo-peruggia
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