Il
17 agosto del 1945 venne pubblicata in Inghilterra, dopo molte resistenze, la
fattoria degli animali.
George
Orwell in realtà si chiamava Eric Arthur Blair, assunse il nome di George
Orwell quando negli anni Trenta cominciò a pubblicare i suoi primi romanzi.
Orwell
era figlio di un funzionario al servizio di Sua Maestà britannica fu educato a
Eton per essere avviato alla carriera diplomatica.
Orwell
deluse le aspettative familiari e decise di intraprendere l’attività di narratore
e quindi lasciò la famiglia e visse per alcuni anni autonomamente svolgendo
mestieri molto umili quali il lavapiatti condividendo in alcuni momenti la vita
dei senzatetto.
L’esperienza
di vita vissuta, venne raccontata nel libro “Senza un soldo a Parigi e Londra”,
pubblicato nel 1933.
La
svolta nella sua vita fu quando decise di partire alla volta della Spagna e
combattere nelle fila repubblicane. Militò nel POUM, formazione dell’estrema
sinistra rivoluzionaria spagnola. La sua esperienza è espressa in “Omaggio
alla Catalogna”, vero e proprio atto di accusa contro Franco ma soprattutto
contro Stalin e l’URSS.
“La
guerra spagnola e gli altri avvenimenti del 1936-37 hanno fatto pendere l’ago
della bilancia, e da allora ho saputo esattamente qual era la mia posizione.
Ogni riga di serio lavoro da me stesa a partire dal 1936 è stata scritta,
direttamente o indirettamente, contro il totalitarismo e per il Socialismo
democratico, come lo intendo io”.
Durante
la seconda guerra mondiale fu commentatore per la BBC e corrispondente per
alcune riviste e quotidiani della sinistra inglese.
Tra
la fine del ‘43 e l’inizio del ‘44 scrisse “Animal Farm”, ossia “La fattoria
degli animali”. In Italia arrivò nel 1947.
L’altra
opera immortale “1984” invece è pubblicata nel 1949 decretando con “La fattoria
degli animali” la sua fama di grande scrittore.
Orwell
morì nel 1950, a soli 46 anni.
Orwell
ebbe molte difficoltà per la
pubblicazione della fattoria degli animali perché in quel
momento l’Urss era alleata della Gran Bretagna e ben quattro editori tra i
maggiori non ritennero opportuno pubblicare quel testo.
Solo
nel 1945, finita la guerra, il libro venne pubblicato.
Orwell
al momento della prima pubblicazione del suo libro decise di non pubblicare la
sua prefazione non per timori vari ma perché temeva di dare alla sua favola una
netta interpretazione antistalinista e anti intellettuale facendo perdere al
romanzo quel carattere di universalità che ogni grande libro deve
avere. Ora in tutte le edizioni di Animal Farm si può leggere la
prefazione di Orwell.
La
storia è ambientata nella “Fattoria padronale” del signor Jones, per i lettori
di Filodiritto un breve estratto del magnifico e intramontabile testo: “Per una
volta Benjamin consentì a rompere la sua regola e lesse ciò che era scritto sul
muro. Non vi era scritto più nulla, fuorché un unico comandamento.
Diceva:
TUTTI
GLI ANIMALI SONO UGUALI MA ALCUNI SONO PIU’ UGUALI DEGLI ALTRI.
Dopo
ciò non parve strano che i maiali che sorvegliavano i lavori reggessero fruste
nelle loro zampe. Non sembrò strano di apprendere che i maiali si erano
comperati per loro uso un apparecchio radio, che stavano impiantando un
telefono, che avevano fatto l’abbonamento al «John Bull», al «Tit-Bits» e al
«Daily Mirror».
Non
sembrò strano vedere Napoleon passeggiare nel giardino della casa colonica con
la pipa in bocca; no, neppure quando i maiali presero dal guardaroba gli abiti
del signor Jones e li indossarono e fu visto Napoleon in giacca nera, pantaloni
e scarpe di cuoio, mentre la sua scrofa favorita vestiva l’abito di seta che la
signora Jones portava la domenica, neppur questo sembrò strano.
Una
settimana dopo, nel pomeriggio, numerose carrozze giunsero alla fattoria. Una
deputazione di agricoltori del vicinato era stata invitata a fare un giro
d’ispezione. Fu mostrata loro tutta la fattoria, ed essi espressero grande
ammirazione per ciò che vedevano, specialmente per il mulino. Gli animali
stavano sarchiando il campo di rape. Lavoravano con attenzione, quasi senza
osar sollevare la testa da terra, non sapendo se avevano più paura dei maiali o
dei visitatori umani.
Quella
sera alte risa e canti uscirono dalla casa colonica, e ad un tratto, all’udir
tutte quelle voci, gli animali si sentirono presi da curiosità. Che cosa stava
succedendo la dentro, ora che per la prima volta gli animali e gli uomini si
incontravano su un piede di eguaglianza? In un solo accordo, essi cominciarono
a strisciare silenziosamente nel giardino della casa colonica.
Al
cancello si fermarono dubbiosi se entrare o no. Ma Berta aprì la strada. In
punta di piedi si portarono fin presso la casa e quelli che erano abbastanza
alti spiarono attraverso la finestra della sala da pranzo. Là, attorno alla
lunga tavola, sedevano una mezza dozzina di agricoltori e una mezza dozzina o
più di eminenti maiali. Napoleon occupava il posto d’onore a capo della tavola.
I maiali sembravano completamente a loro agio sulle seggiole. La compagnia
stava giocando una partita a carte, momentaneamente sospesa, evidentemente per
un brindisi. Circolava una grande anfora e i bicchieri venivano riempiti di
birra. Nessuno si accorse delle facce attonite degli animali che spiavano dalla
finestra.
Il
signor Pilkington di Foxwood si era alzato reggendo il bicchiere. Fra un
istante, egli disse, avrebbe chiesto alla compagnia di fare un brindisi, ma
prima sentiva il dovere di pronunciare alcune parole. Era per lui motivo di
grande soddisfazione, disse - e, ne era sicuro, per tutti gli altri presenti -
di sentire che il lungo periodo di diffidenza e di incomprensione era finito.
C’era
stato un tempo - non che lui o alcuno dei presenti avesse condiviso tali
sentimenti - ma c’era stato un tempo in cui i rispettabili proprietari della
Fattoria degli Animali erano stati guardati, non con ostilità, ma forse con qualche
sospetto dagli uomini del vicinato. C’erano stati disgraziati incidenti,
c’erano state incomprensioni. Si sentiva che l’esistenza di una fattoria tenuta
e governata da maiali era qualcosa di anormale e rischiava di avere un malefico
effetto sul vicinato. Troppi agricoltori erano convinti, senza prova alcuna,
che in quella fattoria dominava lo spirito di licenza e di indisciplina. Erano
inquieti per l’effetto che la cosa poteva avere sui loro animali e anche sui
propri impiegati umani.
Ma
ogni dubbio era ora dissipato. Quel giorno assieme ai suoi amici aveva visitato
la Fattoria degli Animali, ne aveva ispezionato ogni palmo coi propri occhi, e
che cosa aveva trovato? Non solo i metodi più moderni, ma una disciplina e un
ordine da porre come esempio agli agricoltori di ogni dove. Credeva di poter
dire a ragione che gli animali inferiori della Fattoria degli Animali facevano
più lavoro e ricevevano meno cibo di tutti gli animali della contea. In realtà
assieme ai suoi amici visitatori aveva quel giorno osservato molte cose che
intendeva introdurre subito nelle proprie fattorie.
Chiudeva
la sua perorazione, disse, esaltando ancora i sentimenti di amicizia che
esistevano e dovevano esistere tra la Fattoria degli Animali e i suoi vicini.
Tra i maiali e gli uomini non vi era e non doveva esservi alcun conflitto
d’interessi. Le loro lotte e le loro difficoltà erano uniche. Non era il
problema del lavoro lo stesso ovunque? Qui parve che il signor Pilkington
stesse per lanciare qualche ben preparata arguzia sulla compagnia, ma per il
momento era troppo sopraffatto dal piacere per poterla pronunciare. Dopo molti
colpi di tosse durante i quali i suoi numerosi menti si fecero di bracia,
riuscì a metterla fuori: «Se voi avete i vostri animali inferiori contro cui lottare»
disse «noi abbiamo le nostre classi inferiori!». Questo bon mot fece scoppiare
dalle risa tutta la tavola; e il signor Pilkington ancora si congratulò coi
maiali per le razioni scarse, le lunghe ore di lavoro e la generale assenza di
sovrabbondanza che aveva osservato nella Fattoria degli Animali.
E
ora, disse infine, chiedeva alla compagnia di alzare la zampa e assicurarsi che
il bicchiere fosse pieno.
«Signori»
concluse il signor Pilkington «signori, brindo a voi e alla prosperità della
Fattoria degli Animali!»
Seguirono
entusiastici applausi e battere di piedi. Napoleon era tanto soddisfatto che si
alzò dal suo posto e fece il giro della tavola per venire a toccare il suo
bicchiere con quello del signor Pilkington prima di vuotarlo. Quando gli applausi
si placarono, Napoleon, che era rimasto in piedi, annunciò che aveva qualche
parola da dire.
Come
tutti i discorsi di Napoleon, anche questo fu breve ed esplicito. Anche lui,
disse, era felice che il periodo dell’incomprensione fosse finito. Per molto tempo
erano corse voci - messe in giro, aveva ragione di credere, da qualche nemico
maligno - che le direttive sue e dei suoi colleghi rivestissero qualcosa di
sovversivo e di rivoluzionario Erano stati accusati di suscitare la ribellione
fra gli animali delle vicine fattorie. Niente di più lontano dalla verità! Il
loro solo desiderio, ora come nel passato, era di vivere in pace e in buone e
normali relazioni con tutti i vicini. Questa fattoria che aveva l’onore di
controllare, aggiunse, era una specie di impresa cooperativa. Le azioni che
erano in suo possesso erano comune proprietà dei maiali.
Egli
non credeva, disse, che alcuno degli antichi sospetti continuasse a sussistere;
ma alcuni cambiamenti, recentemente introdotti nelle consuetudini della
fattoria, dovevano aver l’effetto di promuovere un’ancor maggiore fiducia. Fino
ad allora gli animali della fattoria avevano avuto la sciocca abitudine di
chiamarsi l’un l’altro "compagni". Ciò doveva aver termine. C’era
anche stato lo strano costume, la cui origine era sconosciuta, di sfilare la
domenica mattina davanti al teschio di un verro posto su un ceppo nel giardino.
Questo pure sarebbe stato abolito, e già il teschio era stato sepolto. I suoi
visitatori avevano certo visto la bandiera verde spiegata in cima all’asta e
avevano forse notato che lo zoccolo e il corno dipinti in bianco, di cui prima
era fregiata, erano scomparsi. La bandiera, d’ora innanzi, sarebbe stata verde
soltanto. Egli aveva solo una critica, disse, da fare all’eccellente e
amichevole discorso del signor Pilkington. In esso il signor Pilkington si era
sempre riferito alla "Fattoria degli Animali". Non poteva sapere,
naturalmente - é lui, Napoleon, lo annunciava ora per la prima volta - che il
nome "Fattoria degli Animali" era stato abolito. Da quel momento la
fattoria sarebbe ritornata "Fattoria Padronale", quello cioè che,
egli credeva, era il suo vero nome d’origine.
«Signori»
concluse Napoleon «ripeterò il brindisi di prima, ma in forma diversa. Riempite
fino all’orlo i vostri bicchieri. Signori, ecco il mio brindisi: alla
prosperità della Fattoria Padronale!»
Come
prima, vi furono calorosi applausi e i bicchieri vennero vuotati fino al fondo.
Ma mentre gli animali di fuori fissavano la scena, sembrò loro che qualcosa di
strano stesse accadendo. Che cosa c’era di mutato nei visi dei porci? Gli occhi
stanchi di Berta andavano dall’uno all’altro grugno. Alcuni avevano cinque
menti, altri quattro, altri tre. Ma che cos’era che sembrava dissolversi e
trasformarsi? Poi, finiti gli applausi, la compagnia riprese le carte e
continuò la partita interrotta, e gli animali silenziosamente si ritirarono.
Ma
non avevano percorso venti metri che si fermarono di botto. Un clamore di voci
veniva dalla casa colonica. Si precipitarono indietro e di nuovo spiarono dalla
finestra. Sì, era scoppiato un violento litigio. Vi erano grida, colpi vibrati
sulla tavola, acuti sguardi di sospetto, proteste furiose. Lo scompiglio pareva
esser stato provocato dal fatto che Napoleon e il signor Pilkington avevano
ciascuno e simultaneamente giocato un asso di spade.
Dodici voci si alzarono furiose, e tutte erano simili. Non c’era
da chiedersi ora che cosa fosse successo al viso dei maiali. Le creature di
fuori guardavano dal maiale all’uomo, dall’uomo al maiale e ancora dal maiale
all’uomo, ma già era loro impossibile distinguere fra i due”
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