L’amore e sicuramente
la sofferenza hanno spinto il teologo Krzysztof Charamsa a dichiarare
pubblicamente la propria omosessualità e a denunciare due gravi errori della
Chiesa: la pretesa che gli omosessuali rinuncino per tutta la vita
all’esercizio della sessualità (n.2359 del Catechismo) e l’obbligo del celibato per i
sacerdoti. Il versetto del Vangelo che parla del celibato è il seguente: “Vi
sono eunuchi che nacquero così dal seno della madre, vi sono eunuchi che furono
resi tali dagli uomini, e vi sono eunuchi che si resero tali da sé per il regno
dei cieli. Chi può comprendere, comprenda” (Mt 9,12). La Chiesa cattolica “ha
compreso” che, per i presbiteri la rinuncia al matrimonio non debba essere una scelta
ma un obbligo. Le Chiese orientali “hanno compreso” che uomini sposati possono
essere ordinati sacerdoti, ma non vescovi. Nel giudaismo, in base al precetto
divino espresso in Genesi 1,28 ( “crescete e moltiplicatevi”), che l’uomo
prendesse moglie era sentito come dovere religioso. Una sentenza rabbinica del
secolo I d.C. recita: “Colui che non si preoccupa di avere una discendenza, è
come colui che commette omicidio”. Il Catechismo della Chiesa Cattolica (n.15)
dice: “I consigli evangelici, nella loro molteplicità, sono proposti a ogni
discepolo di Cristo. La perfezione della carità, alla quale tutti i fedeli sono
chiamati, comporta per coloro che liberamente accolgono la vocazione alla vita
consacrata l’obbligo di praticare la castità del celibato, la povertà e
l’obbedienza”. L’errore è trasformare arbitrariamente i “consigli evangelici”
in “obblighi evangelici”. Miriam
Della Croce miriamdellacroce@fiscali.it
Innanzitutto precisiamo i termini. Non
capisco perché la Chiesa chiami “castità” l’astenersi dall’esercizio della
sessualità. Chiamiamola semplicemente “astinenza”, perché altrimenti dovremmo
definire “non casti” marito e moglie che, nell’ambito dei loro rapporti,
praticano la sessualità. La cosa mi pare sufficientemente offensiva. In secondo
luogo, appellarsi alla frase del Vangelo relativa agli “eunuchi che si resero
tali per il regno dei cieli” è di nuovo improprio, perché eunuco è chi è privo
di organi genitali o per difetto organico o per evirazione. Condizione questa
che non mi pare possa essere riferita ai sacerdoti, che disponendo di organi
sessuali e non essendo evirati, con gli eunuchi non hanno nulla a che fare.
(..) I Vangeli sono stati scritti nel I secolo d.C. e fino al Concilio Lateranense
III del 1179, quindi per oltre un millennio, l’omosessualità non era
considerata un problema che meritasse una particolare discussione, tanto è vero
che Anselmo d’Aosta (1033-1109), filosofo, teologo, abate e arcivescovo di
Canterbury, poi elevato agli onori degli altari, poteva avere relazioni amorose
prima con Lanfranco, poi con una serie di suoi allievi(..). Fu solo
bell’Ottocento, con la nascita della medicina scientifica, che con gli occhi
puntati alla fisiologia e alla patologia dei corpi si stabilisce che, siccome
gli organi sessuali sono deputati alla riproduzione, ogni rapporto tra maschio
e femmina, è patologico. E così il “peccato” divenne “malattia”. (..) . E’
triste assistere al fatto che la Chiesa, la quale non di rado confligge con le
posizioni di volta in volta assunte dal sapere medico e psicoanalitico, ceda
alla loro visione materialistica, e misconosca proprio lei, lo “spirito” che,
anche nelle relazioni omosessuali, si manifesta innanzitutto nell’affettività e
nell’amore, e solo dopo anche nel sesso. Di questo appiattimento soffrono gli
Stati che non riconoscono le unioni omosessuali, dimenticando il monito di
Platone che nel Simposio (182 d) scrive: “Ovunque è stabilito che è riprovevole
essere coinvolti in una relazione omosessuale, ciò è dovuto a difetto dei
legislatori, a dispotismo da parte dei governanti e viltà da parte dei
governati”.
umbertogalimberti@repubblica.it
– Donna di Repubblica – 31 ottobre 2015
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