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mercoledì 4 novembre 2015

Lo Sapevate Che: La Chiesa antica non condannava l'omosessualità...



L’amore e sicuramente la sofferenza hanno spinto il teologo Krzysztof Charamsa a dichiarare pubblicamente la propria omosessualità e a denunciare due gravi errori della Chiesa: la pretesa che gli omosessuali rinuncino per tutta la vita all’esercizio della sessualità (n.2359 del  Catechismo) e l’obbligo del celibato per i sacerdoti. Il versetto del Vangelo che parla del celibato è il seguente: “Vi sono eunuchi che nacquero così dal seno della madre, vi sono eunuchi che furono resi tali dagli uomini, e vi sono eunuchi che si resero tali da sé per il regno dei cieli. Chi può comprendere, comprenda” (Mt 9,12). La Chiesa cattolica “ha compreso” che, per i presbiteri la rinuncia al matrimonio non debba essere una scelta ma un obbligo. Le Chiese orientali “hanno compreso” che uomini sposati possono essere ordinati sacerdoti, ma non vescovi. Nel giudaismo, in base al precetto divino espresso in Genesi 1,28 ( “crescete e moltiplicatevi”), che l’uomo prendesse moglie era sentito come dovere religioso. Una sentenza rabbinica del secolo I d.C. recita: “Colui che non si preoccupa di avere una discendenza, è come colui che commette omicidio”. Il Catechismo della Chiesa Cattolica (n.15) dice: “I consigli evangelici, nella loro molteplicità, sono proposti a ogni discepolo di Cristo. La perfezione della carità, alla quale tutti i fedeli sono chiamati, comporta per coloro che liberamente accolgono la vocazione alla vita consacrata l’obbligo di praticare la castità del celibato, la povertà e l’obbedienza”. L’errore è trasformare arbitrariamente i “consigli evangelici” in “obblighi evangelici”.     Miriam Della Croce miriamdellacroce@fiscali.it
Innanzitutto precisiamo i termini. Non capisco perché la Chiesa chiami “castità” l’astenersi dall’esercizio della sessualità. Chiamiamola semplicemente “astinenza”, perché altrimenti dovremmo definire “non casti” marito e moglie che, nell’ambito dei loro rapporti, praticano la sessualità. La cosa mi pare sufficientemente offensiva. In secondo luogo, appellarsi alla frase del Vangelo relativa agli “eunuchi che si resero tali per il regno dei cieli” è di nuovo improprio, perché eunuco è chi è privo di organi genitali o per difetto organico o per evirazione. Condizione questa che non mi pare possa essere riferita ai sacerdoti, che disponendo di organi sessuali e non essendo evirati, con gli eunuchi non hanno nulla a che fare. (..) I Vangeli sono stati scritti nel I secolo d.C. e fino al Concilio Lateranense III del 1179, quindi per oltre un millennio, l’omosessualità non era considerata un problema che meritasse una particolare discussione, tanto è vero che Anselmo d’Aosta (1033-1109), filosofo, teologo, abate e arcivescovo di Canterbury, poi elevato agli onori degli altari, poteva avere relazioni amorose prima con Lanfranco, poi con una serie di suoi allievi(..). Fu solo bell’Ottocento, con la nascita della medicina scientifica, che con gli occhi puntati alla fisiologia e alla patologia dei corpi si stabilisce che, siccome gli organi sessuali sono deputati alla riproduzione, ogni rapporto tra maschio e femmina, è patologico. E così il “peccato” divenne “malattia”. (..) . E’ triste assistere al fatto che la Chiesa, la quale non di rado confligge con le posizioni di volta in volta assunte dal sapere medico e psicoanalitico, ceda alla loro visione materialistica, e misconosca proprio lei, lo “spirito” che, anche nelle relazioni omosessuali, si manifesta innanzitutto nell’affettività e nell’amore, e solo dopo anche nel sesso. Di questo appiattimento soffrono gli Stati che non riconoscono le unioni omosessuali, dimenticando il monito di Platone che nel Simposio (182 d) scrive: “Ovunque è stabilito che è riprovevole essere coinvolti in una relazione omosessuale, ciò è dovuto a difetto dei legislatori, a dispotismo da parte dei governanti e viltà da parte dei governati”.
umbertogalimberti@repubblica.it – Donna di Repubblica – 31 ottobre 2015

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