L'idea di dar vita a un quotidiano matura nel
giornalista 52enne Eugenio Scalfari, dopo l'esperienza felice del
settimanale L'Espresso (da lui diretto dal 1963 al '68) e la
parentesi politica come deputato del PSI. Lo spirito moderno nella forma e nei
contenuti del primo, unito alla profonda conoscenza della sfera istituzionale,
fanno da sostrato culturale al nuovo prodotto editoriale.
L'obiettivo è di dargli una marcata
caratterizzazione politica, inquadrabile nella sinistra laica e progressista,
che lo porti a prendere posizione su aspetti cruciali della società italiana,
creando di fatto un'opinione pubblica che si rispecchia fedelmente
nell'ideologia del giornale e del suo fondatore.
L'impostazione dev'essere quella di un giornale
nazionale, che ambisce a contendere il primato al Corriere della Sera.
Ciò giustifica la scelta del nome la Repubblica, richiamando il
senso patriottico e istituzionale del termine.
Il progetto piace all'editore Carlo Caracciolo e
alla Mondadori che finanziano per metà l'impresa. La sede viene fissata a Roma,
in via dell'Indipendenza, dove iniziano a lavorare 60 redattori, di cui 50 sono
giovani alle prime armi; i restanti sono grandi firme come Giorgio
Bocca, Sandro Viola, Mario Pirani, Miriam Mafai, Barbara Spinelli, Natalia
Aspesi e Giuseppe Turani.
Si arriva al giorno della prima uscita in
edicola. La prima pagina si apre con un'intervista dello stesso Scalfari con il
segretario del PSI, Francesco De Martino, sulla crisi di governo e sui rapporti
con il PCI di Enrico Berlinguer. Al centro c'è la notizia
dell'incarico di governo conferito ad Aldo Moro, sotto un articolo di Bocca sul
rischio fallimento della fabbrica Innocenti. All'interno (la foliazione è di
venti pagine) grande spazio alle notizie di politica internazionale,
tra i tratti distintivi del giornale, di economia e cultura. Niente sport, che
compare solo a partire dal 1979 a cura di Gianni Brera.
L'esordio è accompagnato da un boom di vendite:
300mila copie. I lettori si dimostrano felicemente sorpresi dall'aspetto
innovativo più evidente: il formato tabloid che lo avvicina
alla stampa anglosassone non solo nella maggiore maneggevolezza, bensì anche
nel modo stesso di comunicare. Un ruolo centrale è assegnato ai titoli,
costruiti per catturare l'attenzione di chi legge, sia attraverso un carattere
tipografico originale (il Bodoni) che li rende più grandi, sia
nelle scelte lessicali attraverso giochi di parole e termini d'impatto.
È così che espressioni come "il
palazzo" (ad indicare il potere), accanto a slogan e neologismi
legati al contesto politico, entrano per sempre nella memoria collettiva
innovando il linguaggio della comunicazione politica e non solo.
Un altro versante che farà scuola è la vignetta,
inizialmente impaginata nell'area dei commenti fino a guadagnarsi presto la
prima. A curarla è Giorgio Forattini, specializzato nella satira
politica, priva di scritte e tutta affidata alle immagini.
Dall'exploit del lancio via via le vendite
scendono fino ad attestarsi su una media di 70mila copie, mantenuta per due
anni. La svolta arriva per la concomitanza di diversi fattori: l'arrivo di
Piero Ottone, che lascia la guida del giornale rivale di via Solferino; il
successo crescente all'interno dei movimenti giovanili universitari;
l'autorevolezza acquisita in occasione del sequestro Moro, che tra
l'altro vede il presidente della Democrazia Cristiana immortalato, nel covo dei
brigatisti, con una copia di Repubblica tra le mani.
Con gli anni '80 parte la scalata al primato,
che viene raggiunto verso la fine del decennio (sfiorando le 700mila copie di
vendita media), grazie anche a iniziative felici, quali il lancio del primo
supplemento Affari & Finanza nel 1986 e, un anno dopo, del
settimanale Il Venerdì di Repubblica. In questo periodo la società
passa a Carlo De Benedetti, che riunisce Repubblica ed Espresso in
un unico gruppo editoriale.
Il giornale si caratterizza per un giornalismo
sempre più investigativo, anticipando con il caso Enimont gli sviluppi di
Tangentopoli. A partire dal 1994 e per tutto il primo decennio del secondo
millennio, ingaggia una feroce contesa sul piano politico e giudiziario
con Silvio Berlusconi, la cui candidatura viene contestata per via
del conflitto d'interessi dell'imprenditore (proprietario di tre televisioni).
Il ruolo di Scalfari in questi anni cambia e da
direttore responsabile (incarico assegnato dal 1996 a Ezio Mauro,
quest'ultimo sostituito, dal 15 gennaio 2016, da Mario Calabresi e,
dal 23 aprile 2020, da Maurizio Molinari) passa a quello di padre nobile e di
principale editorialista. In vista delle elezioni politiche dell'aprile 2006
debutta la versione online del giornale.
http://www.mondi.it/almanacco/voce/52006
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