La
città di Oświęcim (in tedesco Auschwitz), sita a 75 km da
Cracovia, era stata per secoli un luogo di pacifica convivenza tra gli abitanti
di origine polacca e quelli di origine tedesca. Dal 1400 la popolazione era in
maggioranza di religione ebraica, ma ciò non le aveva impedito di figurare tra
i principali centri della cultura protestante in Polonia. Lo scoppio del
secondo conflitto mondiale mutò completamente lo scenario.
Dopo l'invasione della Polonia, i Nazisti decisero di aprire in questa
zona un campo di concentramento destinato a dissidenti polacchi, comunisti,
intellettuali, criminali tedeschi e zingari. A questo scopo furono utilizzate
delle vecchie caserme dell'esercito polacco, nella periferia della città.
L'area, recintata con il filo spinato elettrificato, venne chiusa da un
cancello di ferro tristemente famoso per la scritta ingannevole che lo
sormontava: «Arbeit macht frei» ("il lavoro rende
liberi"). Il fabbro che l'aveva realizzata pare che avesse appositamente
saldato la "B" al contrario, in segno di protesta
verso la reale funzione del luogo.
Nei due anni successivi il complesso si ampliò ulteriormente con il campo
di Birkenau, riservato inizialmente ai prigionieri russi, e il campo
di lavoro di Monowitz, quest'ultimo destinato a sfruttare il lavoro dei
deportati per la costruzione di una fabbrica legata alla produzione di gomma
sintetica (mai avviata). Con l'adozione della famigerata soluzione
finale, proposta nella conferenza di Wannsee del gennaio 1942, l'area
divenne lo strumento di un disegno criminoso: lo sterminio del popolo ebraico.
Da quel momento Birkenau si trasformò in una "cittadella di morte",
attraverso la costruzione di camere a gas e forni crematori. La
scelta ricadde qui per la vicinanza della linea ferroviaria che facilitava le
deportazioni.
Al loro arrivo i prigionieri venivano spogliati di tutto e rivestiti con una
casacca standard che si distingueva per un contrassegno colorato all'altezza
del torace (identificativo della categoria del detenuto; agli ebrei era
associata una stella gialla a sei punte) e per il numero di matricola (tatuato
anche sul braccio sinistro).
Tutti i deportati ignoravano la loro destinazione e la sorte che li attendeva.
Stremati dalla fame e dalle indicibili torture patite, molti preferirono andare
incontro alla morte volontaria lanciandosi contro il filo spinato
elettrificato, piuttosto che aspettare di essere avvelenati dal gas e bruciati
nei forni crematori. Qui, in tre anni, furono messi a morte circa 12mila ebrei
al giorno.
Uno sterminio di massa che s'interruppe solo di fronte all'avanzata dell'Armata
rossa in Polonia, di fronte alla quale il capo delle SS Himmler diede
l'ordine di evacuare i prigionieri e distruggere qualsiasi traccia dei crimini
commessi, dai forni crematori agli indumenti delle vittime ammassati nei
magazzini. L'operazione non poté essere portata a termine e molte testimonianze
di quell'inferno rimasero intatte.
Quando il pomeriggio del 27 gennaio le truppe sovietiche della Prima Armata del
Fronte Ucraino, al comando dal maresciallo Konev, abbatterono i cancelli di
Auschwitz si trovarono di fronte a 7mila fantasmi: tanti erano i
sopravvissuti ridotti a pelle e ossa che li accolsero. L'ispezione della zona
fece emergere le prime tracce dell'orrore consumato all'insaputa del mondo
intero: tra i vari resti, furono rinvenute 8 tonnellate di capelli umani.
Nelle settimane successive si poté così svelare il più grande inganno
della storia, partendo dai numeri. Si parlò inizialmente di 4 milioni di
ebrei uccisi ad Auschwitz, cifra rivista in seguito e fissata a 1.500.000. La
gran parte di essi fu messa a morte poco dopo l'arrivo, la restante spirò per
malattie e denutrizione.
Più dei numeri dicevano le numerose testimonianze dei sopravvissuti, tra cui lo
scrittore torinese Primo Levi (autore del romanzo Se
questo è un uomo), e quelle lasciate dalle vittime, come il celebre diario
di Anna Frank.
Istituzioni governative e culturali si attivarono negli anni perché le
generazioni future non dimenticassero mai più questa drammatica pagina di
storia. L'UNESCO dichiarò Auschwitz Patrimonio dell'Umanità nel
1979. Nel 1996 la Germania riconobbe il 27 gennaio come Giorno della
memoria delle vittime del Nazismo, proclamata anche dall'Italia (nel
2000) e dall'ONU (risoluzione 60/7 del 1° novembre 2005).
https://www.mondi.it/almanacco/voce/49010
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