Il malcontento dei cittadini, che avevano visto la loro patria passare dalla
condizione di nazione tra le più progredite, prima della Seconda guerra
mondiale, a quella di un paese stanco e impoverito da vent'anni di regime
comunista, era ormai incontenibile. Rispetto a tale scenario, all'interno
del Partito Comunista Cecoslovacco (l'unico ammesso a governare) si allargava
il fronte di coloro che giudicavano ineludibile un'azione riformatrice in senso
democratico, che in nome di un «socialismo dal volto umano» si
distaccasse dalla rigida applicazione del modello sovietico.
In questo clima maturò l'elezione a segretario generale del PCC di Alexander
Dubček, espressione dell'ala più liberale del partito, che prese il posto
di Antonin Novotny, fedelissimo di Mosca. Dubcek, che aveva
combattuto tra le file della resistenza comunista contro i nazisti, si circondò
di intellettuali e politici riformatori con i quali inaugurò un nuovo corso
politico.
Pur mantenendo il paese nell'orbita di influenza sovietica, introdusse
importanti cambiamenti nella struttura politica, che di fatto rovesciavano i
principi cardine del vecchio regime. In primis pose fine alla logica dispotica
del partito unico, ammettendo l'esistenza di forze politiche non alleate al
PCC; in secondo luogo favorì la libertà di stampa e di espressione,
rispondendo alle istanze dei circoli culturali e studenteschi.
La maggioranza dei cittadini appoggiò l'ondata liberalizzatrice e ciò mise in
allarme il governo di Mosca, preoccupato delle ripercussioni che potevano
verificarsi negli altri contesti del cosiddetto Blocco sovietico,
tenuto assieme dal Patto di Varsavia (1955). In base
all'alleanza i firmatari si promettevano reciproco sostegno in caso di
aggressione. La sua vera natura emerse in quella fase delicata: secondo
l'interpretazione di Leonid Brežnev (segretario del PCUS),
l'allontanamento dal socialismo verso posizioni capitalistiche costituiva di
per sé un pericolo per le altre forze del Patto e, implicitamente, giustificava
un intervento militare.
Ribattezzata in seguito dottrina Brežnev, questa posizione ispirò
la reazione repressiva dell'Unione Sovietica, che nella notte tra
il 20 e il 21 agosto occupò militarmente Praga. La mattina dopo migliaia di
persone scesero in strada a protestare, circondando i carri armati e invitando
i soldati ad unirsi a loro. Seguirono giorni di violenti scontri con decine di
morti e con 300mila cecoslovacchi che scelsero di abbandonare il paese.
Sedata la rivolta, fu ripristinato il vecchio regime blindato dall'occupazione
militare che ebbe termine soltanto alla fine degli anni Ottanta. La caduta del
muro di Berlino e la conseguente dissoluzione dell’URSS favorirono il
rovesciamento del regime comunista (ricordata come Rivoluzione di
velluto, per il carattere non violento) e l'indizione delle prime
elezioni democratiche, nel giugno del 1990, con Dubček che fu chiamato a
presiedere l'assemblea federale.
Fonte d'ispirazione per le contestazioni giovanili del Sessantotto,
la Primavera di Praga fu celebrata nel mondo dell'arte sotto diverse forme,
dalla musica alla letteratura. Su tutti, il celebre romanzo di Milan
Kundera: L'insostenibile leggerezza dell'essere (1984).
http://www.mondi.it/almanacco/voce/87002
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