Non si poteva lasciare impunita la ferocia
del nazismo e, al contempo, occorreva segnare una linea di
demarcazione nella politica internazionale tra il recente passato e gli scenari
futuri, creando efficaci strumenti di prevenzione e contrasto a qualsiasi
tentativo di sterminio e pulizia etnica. Questa
vergognosa pagina di storia non avrebbe dovuto ripetersi.
Da queste premesse ideologiche nacque l'esigenza
di istituire un tribunale internazionale, il cui atto di nascita fu
sancito nell'incontro di Londra dell'8 agosto 1945 tra Gran Bretagna, Stati
Uniti e Unione Sovietica. I "tre grandi" sottoscrissero uno statuto
cui successivamente aderirono 19 paesi di tutti i continenti.
Fu scelta come sede Norimberga innanzitutto per
ragioni pratiche, perché era l'unico centro abitato della Germania risparmiato
in parte dai bombardamenti, e che, pertanto, potesse offrire strutture agibili
e adatte ad ospitare quel tipo di evento. Non meno importanti le motivazioni
simboliche, dato che nella seconda città della Baviera si erano tenuti i riti
ufficiali del regime hitleriano e sempre qui erano state
emanate le leggi discriminatorie verso gli ebrei e le razze “inferiori”.
Si arrivò così al 20 novembre 1945, giorno di
apertura del processo di Norimberga che metteva alla sbarra
ventidue tra i più alti gerarchi nazisti, come Hermann Göring, il
numero due della Germania nazista e ideatore della Gestapo (la
potente polizia segreta del regime); Joachim von Ribbentrop,
ministro degli esteri e ideatore dell'omonimo patto con l'URSS per spartirsi
l'Europa centro-orientale; Julius Streicher, insegnante elementare, autore
della spietata propaganda antiebraica.
Mancano all'appello figure di rilievo come
Goebbels ed Himmler, che preferirono suicidarsi emulando il Führer,
e tutti quelli che fuggirono in Argentina accolti dal regime peronista. Quattro
i capi d'accusa contestati agli imputati e tra questi per la prima volta nella
storia si parla di «crimini contro l’umanità»; gli altri tre
sono «complotto», «crimini contro la pace», «crimini
di guerra».
Dichiaratisi «non colpevoli»,
disconoscendo l'autorità del tribunale, gli imputati vennero sottoposti, nel
corso del processo, a esami psichiatrici e psicologici (i risultati sono stati
resi noti negli ultimi anni) atti a indagarne la personalità e rispondere
all'unanime quesito sull'incompatibilità tra il loro essere individui
"sani di mente" e l’efferatezza dei crimini commessi.
Meno di un anno dopo, il 1° ottobre 1946, si
arrivò al verdetto: 12 condanne a morte, tre ergastoli, due pene a
20 anni di carcere, una pena a 15 anni, una a 10 e 2 assoluzioni.
Criticato da numerosi giuristi e osservatori che
contestavano il fatto che fosse organizzato dai vincitori del conflitto, il
processo di Norimberga segnò una svolta politica e culturale, introducendo nel
lessico comune, oltre che giuridico, termini come "crimini di
guerra", "diritti umani", genocidio (neologismo
coniato nel 1933 dallo studioso polacco Raphael Lemkin, che unisce il
greco genos, "razza o etnia", con il latino cidium,
"uccidere").
In questo contesto si delineò il moderno diritto
internazionale, alla base di importanti istituzioni come l'Organizzazione
delle Nazioni Unite e il Tribunale Internazionale dell’Aia,
quest'ultimo chiamato poi a giudicare i crimini commessi nell'ex Jugoslavia
(1993) e in Ruanda (1994).
http://www.mondi.it/almanacco/voce/6065
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