Nel Gelo Di una mattina di dicembre in via Cantù,
a Milano, davanti al cinema chiamato dal proprietario, con ammirevole slancio
di fantasia, Cinema Cantù, il volto del mio complice di crimine Gigi Mambelli
s’imbiancò oltre il suo normale pallore. “Guarda chi c’è”, riuscì adire. Mi
voltai e alle mie spalle, elegantissima come sempre quando usciva di casa, vidi
mia madre. Alla mia prima “bigiata” come si diceva a Milano, ero incappato, tra
il milione e mezzo di persone che in quegli anni ’60 popolavano l’operosa
metropoli lombarda, in mia madre. “Faceva troppo freddo a scuola“, balbettai e
lei mi gelò con un mezzo sorriso affilato come un coltello da sushi: “Speriamo
almeno che dentro il cinema il riscaldamento funzioni”. E se ne andò. Il
sorriso sardonico di mia madre, il sentimento di completa idiozia che mi prese
appena ebbi finito di pronunciare quella frase, mi tornano puntuali alla
memoria quando a fine anno escono i risultato delle ricerche delle aziende di
collocamento sulle scuse che i dipendenti usano negli Usa per marinare il
lavoro e prendersi una giornata di vacanza fuori ordinanza. La graduatoria è
probabilmente molto simile a quella chesi potrebbe compilare in ogni nazione
sviluppata. La graduatoria è probabilmente
molto simile a quella che si potrebbe compilare in ogni nazione sviluppata. La
regia delle scuse è naturalmente la salute, specialmente nei mesi invernali,
quando l’influenza infuria e regala epidemie di pigrixis. La telefonata con le narici serrate fra le dita e accessi
di tosse è sempre buona per un paio di giornate di vacanza, che è la media
dell’assenza per indisposizioni minori. Al secondo posto, il jolly
metropolitano buono per tutte le partite: il traffico. Ma a differenza della
pseudo influenza, il traffico presenta rischi di verifica, nell’era delle app
che in Rete permettono di vedere la situazione.(..). Al terzo, i carissimi bambini. Ora che madri e
padri condividono sempre più le responsabilità genitoriali, tutto quello che
riguarda i pargoli, dalla visita dal pediatra a corsi di ogni attività
ginnico-sportiva, offre ghiotti alibi per ritardi e assenze. Nonni e nonne continuano a morire con tempestiva
frequenza, offrendo pretesti funerari da centellinare tuttavia con cautela.
Nonni miracolosamente resuscitati dopo numerose sepolture causano 500
licenziamenti in media ogni anno. Periodici dolori femminili sono al quinto
posto, grazie all’aumento delle donne nella popolazione al lavoro,
un’importante e indiscutibile scusa che le meno giovani sostituiscono con i
malesseri della menopausa. Ma, esaurite le ragioni più ovvie di assenze più o
meno giustificate, si spalanca la prateria delle scuse più stravaganti. Ci
sono la depressione per la sconfitta della
propria squadra del cuore. La violenta diarrea del fedele cagnone, che non può
essere lasciato solo a scacazzare per casa. Il dolore per il tradimento e
l’abbandono della persona amata. La scoperta di ragni mostruosi che scatenano l’
aracnofobia e impediscono alle vittime di uscire dall’armadio nel quale si sono
rinchiuse fino all’arrivo della polizia. La morte di un amico che comporta il
dovere di portare a spalla la bara. Un incendio nella cucina durante la cottura
delle uova fritte. E, tra le più folli segnalate (“Mi è scappato il lama dal
giardino”) se ne trova una ragionevolissima che viene offerta e accettata più
di quanto si potrebbe pensare: “Oggi non ho voglia di lavorare”. E poi sì,
mamma: c’è anche chi telefona al boss e rifiuta di andare al lavoro dice che in
ufficio c’è troppo freddo.
Vittorio Zucconi – Opinioni – Donna di Repubblica – 26
Novembre 2016 -
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