“Ti Comando, grasso, di abbandonare il corpo di
questa donna!” Con queste parole la guru californiana delle diete Mary
Ascension Saulnier esorcizza le cellule adipose delle clienti. La chiamano fat whisperer, la donna che sussurra
alla ciccia. Viene il sospetto che l’imbarazzante terapia, più che la materia
grassa, allontani quella grigia. Eppure la surreale Mary è l’ultimo anello di
una millenaria catena lipofoba che vede nel sovrappeso una colpa da espiare.
“Guai a voi, uomini pingui!”, sbraitava l’irascibile profeta Amos settecento
anni prima di Cristo. E un bacchettonissimo Padre della Chiesa come Tertulliano
sosteneva che solo le taglie small entrano nella porta del paradiso,
notoriamente slim fit. E che alla
fine dei tempi, per i soggetti pelle e ossa, la resurrezione della carne sarà
un attimo. Non siamo lontani da quanto affermava nel 1926 il medico Leonard
Williams, autore di un best seller come Obesity,
che bollava di egoismo le persone troppo grasse perché impongono agli altri lo
spettacolo indecente della loro sovrabbondanza peccaminosa. In realtà esiste un
comun denominatore tra le rappresentazioni dell’obesità di ieri e di oggi, ra
gli anatemi biblici della pinguedine e le fatwe salutistiche del nostro tempo.
Ed è l’idea che si tratti di un accumulo moralmente colpevole. Di un
accaparramento calorico i cui costi finiscono per ricadere sulla collettività.
La differenza è che una volta non erano i chili superflui in sé a essere
condannati, ma gli appetiti malsani e immorali di cui erano il sintomo
visibile. Insomma si pensava che i ciccioni sottraessero cibo agli altri per
abbuffarsi. Ora invece il sovrappeso viene considerato una trasgressione al
comandamento del peso format. Oltre che un costo per il sistema sanitario. Ecco
perché nella società dell’efficienza, dove la vita viene medicalizzata ogni
giorno di più, il grasso è diventato l’emblema del male assoluto. Certo ormai
l’etica ha lasciato il passo alla dietetica, la religione alla normalizzazione
e l’espiazione alla nutrizione. Eppure, nel furore immunitario di questo tempo,
tornano a galla fantasmi biblici. Basta andare a guardare chi ha enunciato i
primi precetti della dietologia di massa. Sylvester Graham, che nell’Ottocento
mette sul mercato l’omonimo cracker ipocalorico, è un ministro del culto
presbiteriano. Ed è il puritanissimo pastore Charlie W. Shedd a escogitare un
programma dimagrante ispirato alla Bibbia. Nel libro Pray Your Weight Away (Prega per ridurre il peso), del 1957, mette
gli obesi tra i peccatori e prescrive la preghiera come sacro anoressizzante.
Sulla sua scia nascono le “diete cristiane”, che promettono dimagrimenti
miracolosi come le guarigioni a Lourdes. Grazie anche a un esercito di
predicatori che tuonano contro il diavolo annidato nell’adipe. Help Lord, the Devil Wants Me Fat
(Signore aiutami, il diavolo mi vuole grasso) è il titolo di un altro titolo
cult della nuova liturgia dietetica. Intanto il business dei regimi devoti
continua a sfornare best seller dai titoli che parlano da soli. Per esempio, Slim for Him (Magri per Lui), dove Lui è
l’Altissimo in persona. “Dovete respingere Satana in modo che il vostro fisico
sia degno dello Spirito Santo”, pulpita il reverendo George Malkmus,profeta
della Hallelujah Diet e inventore di una linea nutrizionale, pompatissima,
vendutissima, ispirata alle Sacre Scritture. E spiega la sua teoria nel
breviario Why Christians Grt Sick
(Perché i cristiani si ammalano). La risposta è: perché si sono allontanati
dalla dieta originale – come il peccato – prescritta dal Creatore. Così hanno smarrito
la via della salvezza, e della salute. Resta il fatto che il mangiare è
assimilato sempre più a un peccato o a una malattia. Insomma, un Padreterno
dietologico, per nulla misericordioso, che pesa i corpi invece che le anime, in
una sorta di prova generale del Giudizio finale. Un dio parzialmente scremato.
Marino Niola – Opinioni – Donna di Repubblica – 3 Dicembre
2016 -
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