Qualche Giorno fa ho rivisto il film “Il Gattopardo”
di Luchino Visconti, che mi è sempre
molto piaciuto come spettacolo ma anche come lo specchio storico del
nostro Risorgimento. C’è tutto: la casta militare, il Piemonte che conquistò
l’Italia, Garibaldi che con i suoi volontari mantenne vivo il senso della
rivoluzione ma pagò un prezzo che non si aspettava; il trasformismo
opportunista della classe dirigente: E il desiderio di conquistare il potere ma
senza che si sporchi le mani. “Noi siamo eterni come gli dei”, dice a un certo
punto del film il principe di Salina che è il protagonista di tutto il
racconto. Esprime la forza dell’establishment che governa da lontano ed è lo
spirito stesso del potere. E’ Questa La Bellezza del film e la sua forza: il potere,
sempre e dovunque, il comando dei pochi su monti, la politica come l’anno vista
e descritta i grandi della cultura, della letteratura, della politica, da Dante
a Machiavelli, a Guicciardini, a Montaigne, a Cervantes, a Schakespeare. E poi
all’Illuminismo di Diderot, di Voltaire, a Mazzini, a Cavour. Ma l’elenco non
finisce qui, è infinitamente più ricco, c’è la scuola inglese di Smith, c’è
Hobbes, c’è Hume e Rousseau. Siamo alla fine dell’Ottocento e al cosiddetto secolo
breve ma in realtà lunghissimo che è il Novecento da Rilke a Pessoa e a Thomas
Mann. Il Gattopardo rappresenta la forza del potere ieri, oggi e sempre, ma in
particolare nelle epoche dove divampa il conflitto tra l’interesse proprio e
quello della collettività. Ho fatto molti nomi, ma uno ne manca ed è il
personaggio mitico che contiene la modernità. Omero, un nome anch’esso mitico
che forse non è mai esistito, l’ha creato
e Dante lo colloca nell’Inferno e gli dà un destino dominato da due
forze: il coraggio e la curiosità: è Odisseo, Ulisse. Il personaggio è l’eroe
moderno per eccellenza: coraggio, curiosità e moralità. Il verso che più lo
distingue è l’esortazione che Dante gli fa esprimere, diretta ai suoi compagni
quando da lui guidati partono su una nave per incontrare un futuro che aleggia
nell’oceano ancora sconosciuto dove lui e tutti i suoi compagni affonderanno
dinanzi ad una misteriosa montagna: “Fatti non foste a viver come bruti / ma
per segur virtute e conoscenza”. Vedete? L’Odisseo dantesco apre la modernità
che alterna l’avventura in cerca di futuro e la tradizione che ti lega al
passato dove le tue radici alimentano l’albero della tua vita. Vi Domanderete a
questo punto che cosa c’entra Odisseo con il Gattopardo? Per me c’entra molto.
L’Ulisse dantesco non si pone il problema del potere, ma l’Odisseo omerico se
lo pone e quelle sono le sue radici. Itaca, l’isola da cui partì da guerriero
verso Troia per conquistarla, il finto cavallo con i suoi compagni nascosti nel
suo ventre che, quando ne uscirono, aprirono le porte della città ai compagni
greci guidati da Achille e la strage dei troiani cominciò e fu portata a
termine. Dieci anni era durata la guerra e dieci anni durò il suo viaggio di
ritorno. L’arrivo ad Itaca cominciò con un’altra strage che sterminò quelli che
in sua assenza si erano installati nella sua reggia usurpando il potere. Ma
pochi giorni dopo ripartì e non tornò mai più. Ecco il mitico Odisseo-Ulisse
che racconta la nostra vita nel bene e nel male e nel destino che c’è scritto
nell’animo nostro. Il Gattopardo racconta anche lui il nostro destino, quello
del principe di Salina, quello del nipote Tancredi e di sua moglie Angelica,
quello dell’Italia unita e le contraddizioni che ciascuno porta con sé. Noi
siamo un paese che discende da un impero mondiale, cominciato più di duemila
anni fa, quando la Roma repubblicana sconfisse Cartagine, conquistò la Grecia e
ne assorbì la cultura e perfino la lingua dalla quale il latino discende. Un
impero che durò mezzo millennio, un’eredità molto pesante, attraverso vicende
che costruirono la premessa della nostra modernità e quella dell’Europa e di
tutto l’Occidente. Altri imperi si sono succeduti, due dei quali in
particolare. L’impero inglese e quello americano. Le classi dirigenti si sono
avvicendate e quella è l’origine delle contraddizioni della modernità. La
nostra ricchezza e il nostro tormento. Il Principe Di Salina, di ritorno dalla cena fastosa e dal
ballo con la nuora Angelica, capisce d’essere ormai al termine della vita. Vede
passare sulla strada che lo sta portando a casa nel pieno della notte un
piccolo corteo composto da un sacerdote parato a lutto e alcuni giovani preti
che l’accompagnano, per portare l’estrema unzione ad un moribondo. Lui
s’inginocchia, poi si rialza e si avvia per una strada buia dove scompare e
siamo alla parola fine. Aveva detto che persone come lui discendevano dagli dei
e custodivano saggezza, prudenza, autorevolezza, potere ed una visione del bene
comune. Purtroppo non c’era nessuno cui lasciarla. Non scrisse testamento.
Portò con sé la nobiltà e le contraddizioni che essa contiene.
Eugenio Scalfari – Il vetro soffiato www.lespresso.it – 11 Dicembre 2016
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