Se chiedete qual è il problema
principale, nove italiani su dieci risponderanno “il lavoro” e avranno ragione.
Perché, allora, si parla sempre d’altro? Un nuovo governo dovrebbe per prima cosa
convocare le parti sociali, sindacati e industriali, e lanciare un piano
decennale per l’occupazione, ma non l’ha mai fatto nessuno. Stiamo correndo
verso un mondo senza lavoro dignitoso e ogni settimana piovono pietre sui
lavoratori. Di questo la gente ha paura, non della presunta instabilità. Le
apocalissi annunciate dai media alla vigilia del voto in Gran Bretagna, negli
Usa e in Italia non sono avvenute. Ma esistono a altre vere apocalissi in
agguato delle quali nessuno o quasi parla. Una è legata alla scadenza
dell’articolo 15 del protocollo di adesione della Cina al Wto, l’organizzazione
mondiale del commercio. Detto così, per la maggior parte dei lettori non
significa nulla. La Cina è entrata nel circuito del commercio mondiale nel
2001, come Paese surrogato (ovvero, non venendo riconosciuta come economia di
mercato, il valore dei suoi prodotti viene calcolato sulla base dei costi di
produzione di un Paese terzo). C’era la promessa di rivedere la posizione dopo
15 anni. Il termine è scaduto l’11 dicembre e ora i cinesi reclamano il
riconoscimento come economia di mercato a tutti gli effetti. Questo comporta la
sparizione di colpo della gran parte di dazi protettivi antidumping. In altri
termini, avremmo in pochi anni una nuova invasione di merci cinesi a basso
prezzo sui nostri mercati e la perdita di milioni di posti di lavoro. Solo in
Italia la promozione della Cina si tradurrebbe nella soppressione di oltre 400
mila posti di lavoro e d’interi rami produttivi, dalle acciaierie alle ceramiche. Ma non è questa l’unica bomba
a orologeria piazzata sul mercato del lavoro. Gli esperti di banche sostengono
che nel prossimo decennio chiuderanno dalla metà ai due terzi degli sportelli,
con conseguenti licenziamenti di massa. Unicredit ha appena annunciato una
mannaia di 14 mila esuberi. In altri settori sorici, come le ferrovie, dopo
l’ultima ondata di liberalizzazioni approvate dall’Unione, si calcola che da
qui al 2025 in Europa circa 250 mila lavoratori anziani andranno in pensione
senza essere sostituiti da altri. Altro che piano Juncker. Prima che si scateni
un’altra ordalia referendaria sul Jobs Act, bisognerebbe pensare a un grande
progetto per creare lavoro, senza riforme da vetrina e senza tornare a puntare
il dito contro i giovani schizzinosi o sfaticati- Si leggessero i dati Ocse: un
giovane italiano lavora in media all’anno una volta e mezza il tempo di un coetaneo del Nord
Europa, per la metà del salario. Choosy
a chi?
Curzio Maltese – Contromano – Il Venerdì di Repubblica – 23
Dicembre 2016 -
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