Chi Parla E’la moglie di un mio carissimo amico.
Lui italiano, lei tedesca, nata a Berlino Est. Lei è cresciuta dall’altra parte
del Muro, quando ancora c’era il comunismo (come Angela Merkel). Oggi fa la
pendolare, avendo un lavoro a Berlino si alterna tra la capitale tedesca e
Roma, dove vive il marito. Al nostro ultimo incontro si sfoga con me per quello
che sta accadendo nella sua città. Qualcosa che ricorda il famigerato
“Capodanno di Colonia”, ma che a differenza di quell’evento è routine
quotidiana. Una piccola (o grande) storia ignobile, ben nascosta. Riassumo
quello che mi racconta, cercando di essere il più fedele possibile. Ci metto le
virgolette finché è lei che parla. “Vivere in certi quartieri di Berlino per
una donna sola, e tedesca, non è facile. Rientrare a casa la sera tardi è
divntao un problema. Per noi il Capodanno di Colonia c’è ogni sera. Gruppi di
maschi di origine turca, nordafricana, araba, ci fissano e ci seguono, ci
molestano o ci minacciano. Qualche volta finisce con un’aggressione sessuale
vera e propria. Altre volte sotto forma di intimidazione, un coltello
sfoderato, il furto del portafoglio o dello smartphone. Non ci sentiamo più a
casa nostra. E come non bastasse, di questi eventi c’è pochissima traccia
nell’informazione ufficiale. La tv tedesca ha precise direttive che vietano di
precisare l’origine etnica o la nazionalità di chi commette un reato. Perciò
noi donne abbiamo imparato a decifrare, a interpretare un’informazione che di
fatto è censurata, Se il telegiornale parla di un’aggressione con uso di
pugnale, sappiamo di che si tratta:è l’arma più diffusa tra quelle bande. Ma
questa forma di auto-censura politically correct accentua il nostro disagio,
peggiora il senso di solitudine e di insicurezza. Noi donne siamo vittime di un
clima d’intimidazione di cui è praticamente vietato parlare. Capisco le ragioni
storiche di questo riserbo. Noi tedeschi abbiamo delle colpe da farci
perdonare, non potremo mai dimentica l’Olocausto. Di conseguenza dobbiamo stare
molto attenti a non prendere di mira questa o quella etnia, questa o quella
minoranza o religione. Però questa situazione a me ricorda in modo inquietante
il mondo in cui sono cresciuta. Anche nella Germania Est era proibito parlare
di certe cose, anche nella mia adolescenza e giovinezza dovevamo decifrare il
non-detto, interpretare le versioni ufficiali della tv di Stato. Noi donne ci
sentiamo abbandonate da Angela Merkel, la regina del politically correct. Solo
qualche sito femminista osa squarciare il velo del silenzio, ma son voci
isolate”. Qui finisce l’amaro sfogo
della mia amica berlinese. Ricordo, per chi l’avesse dimenticato, cosa fu il
Capodanno di Colonia: in quella città tedesca bande di giovani maschi per lo
più immigrati da paesi islamici, terrorizzarono molte donne e ragazze, vi fu
qualche stupro, diverse aggressioni, molti furti. La polizia era assente o
passiva. Ci vollero parecchi giorni perché la verità venisse a galla. Oltre
alla naturale paura di una donna violentata, alle tante resistenze e ai sensi
di vergogna che scattano prima di andare dalla polizia a sporgere denuncia, in
quel caso scattò anche il riflesso “politically correct” dei media, l’imbarazzo
nel descrivere episodi che avevano una chiara matrice etnica, culturale, dentro
la comunità musulmana. A poco a poco la terribile verità sul Capodanno di
Colonia si venne a sapere, e fu uno shock nazionale. Ora, secondo la
descrizione della mia amica berlinese, lo stesso riflesso di auto-censura sta
avvolgendo una realtà quotidiana, fatta di episodi che sono diventati
“normali”, non più solo esplosioni selvagge una-tantum.
Federico Rampini – Opinioni – Donna di Repubblica – 10
Dicembre 2016
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