Il narvalo, un cetaceo che vive nel
Mare Artico, vede attraverso l’emissione di suoni. Come i pipistrelli e altri
cetacei, emette dei segnali sonori nell’ambiente per poi ricostruire,
attraverso gli echi, la posizione e la distanza degli oggetti. Il suo sonar è
però molto più preciso di quello degli altri animali eco localizzatori. La
scoperta, pubblicata su Plos One, è
di un team di ecologisti dell’Università di Washington, che è riuscito a
ottenere una delle prime registrazioni
audio di questa specie nel suo habitat naturale e non, come più spesso accade,
in un oceanario, il grande acquario che ospita le balene. Del narvalo in
effetti sappiamo ancora poco. Pallido e misterioso, è stato battezzato
“unicorno del mare” per via del lunghissimo corno (in realtà un dente a spada
che sporge dalla mandibola). Vive in uno dei luoghi più inaccessibili del
Pianeta, e la comprensione della sua biologia – cicli riproduttivi, strategie
di caccia, reale funzione della zanna – si intreccia ancora oggi alle leggende
dei popoli della Groenlandia. Come quella- mai confermata dall’osservazione, ma
tuttora presente in alcuni testi di biologia – secondo cui, tra le quattro e le
sei settimane prima del parto, la coda dei piccoli di narvalo uscirebbe dal
corpo della madre per avvantaggiarsi nell’apprendimento del nuoto. O come la
teoria, ancora piuttosto diffusa, secondo cui la celebre zanna dalla forma
attorcigliata fungerebbe da antenna per la ricezione degli impulsi sonori.
Kristin Laidre, ricercatrice del Centro per le Scienze Polari all’Università di
Washington, smentisce: anche le femmine, benché prive di zanna, sono delle
ottime eco localizzatrici. Per anni, Laidre si è domandata come facessero
questi cetacei a orientarsi così bene sott’acqua. Come le balene, infatti, i
narvali devono riemergere ogni 4-6 minuti per prendere aria, ma i mari in cui
vivono sono quasi interamene coperti da uno spesso strato di ghiaccio. “In quei
luoghi puoi camminare per miglia e miglia senza mai incontrare dell’acqua”
racconta la ricercatrice “ma se incontri una fessura, puntualmente ci trovi un
narvalo. Mi sono sempre domandata come facessero questi animali a cacciare
nell’oscurità (a quelle latitudini l’inverno è un’interminabile notte polare) e
a trovare sempre delle fessure per respirare”. L’ipotesi di Laidre era che il
loro sonar biologico avesse caratteristiche particolari. Così il suo team ha
posizionato dei microfoni acquatici sotto il pack della Baia di Baffin, un
tratto dell’Oceano Artico a ovest della Groenlandia, dove trascorre l’inverno
l’80 per cento della popolazione dei nervali. Quindi con l’aiuto di potenti
software, i ricercatori si sono messi in ascolto. E’ emerso che il narvalo,
attraverso l’emissione di clic sonori (ben mille al secondo), scatta
un’infinità di istantanee all’ambiente che lo circonda e poi le ricompone in
un’unica immagine acustica, vasta e molto dettagliata. Spiega Laidre: “Mentre
gli altri animali eco localizzatori usano il proprio sonar come un faro e
ottengono una sola grande immagine dell’ambiente, i narvali lo puntano sui
diversi oggetti come se fosse una torcia, acquisendo una scansione estremamente
precisa” Questa facoltà biologica che non ha eguali (fatta eccezione, forse,
per il beluga, altro cetaceo dei mari polari), secondo i ricercatori “potrebbe
essere un vantaggio evolutivo intervenuto per ridurre l’effetto di disturbo del
rumore di fondo prodotto dall’acqua e
dal pack”. Abilità che ora potrebbe rivelarsi indispensabile, visto che
l’ambiente acustico di questi cetacei si fa sempre più caotico. Come
conseguenza dello scioglimento dei ghiacci, il loro rifugio estivo, lo stretto
di Lancaster (tra le isole di Devon e di Buffin), diventerà presto una rotta
marittima attiva tutto l’anno, e gli scienziati pensano che i narvali non
saranno in grado di evacuare l’area a causa della loro forte territorialità. Ma
questa assenza di flessibilità forse non potrà essere compensata proprio Dl
loro incredibile biosonar, che fino a oggi è riuscito a guidarli con precisione
nel crescente rumore antropico dell’Artico.
Giulia Villoresi – Scienze – Il Venerdì di Repubblica – 2
Dicembre 2016 -
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