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mercoledì 7 dicembre 2016

Lo Sapevate Che: L'Unicorno dei ghiacci che vede con i suoni...



Il narvalo, un cetaceo che vive nel Mare Artico, vede attraverso l’emissione di suoni. Come i pipistrelli e altri cetacei, emette dei segnali sonori nell’ambiente per poi ricostruire, attraverso gli echi, la posizione e la distanza degli oggetti. Il suo sonar è però molto più preciso di quello degli altri animali eco localizzatori. La scoperta, pubblicata su Plos One, è di un team di ecologisti dell’Università di Washington, che è riuscito a ottenere una delle  prime registrazioni audio di questa specie nel suo habitat naturale e non, come più spesso accade, in un oceanario, il grande acquario che ospita le balene. Del narvalo in effetti sappiamo ancora poco. Pallido e misterioso, è stato battezzato “unicorno del mare” per via del lunghissimo corno (in realtà un dente a spada che sporge dalla mandibola). Vive in uno dei luoghi più inaccessibili del Pianeta, e la comprensione della sua biologia – cicli riproduttivi, strategie di caccia, reale funzione della zanna – si intreccia ancora oggi alle leggende dei popoli della Groenlandia. Come quella- mai confermata dall’osservazione, ma tuttora presente in alcuni testi di biologia – secondo cui, tra le quattro e le sei settimane prima del parto, la coda dei piccoli di narvalo uscirebbe dal corpo della madre per avvantaggiarsi nell’apprendimento del nuoto. O come la teoria, ancora piuttosto diffusa, secondo cui la celebre zanna dalla forma attorcigliata fungerebbe da antenna per la ricezione degli impulsi sonori. Kristin Laidre, ricercatrice del Centro per le Scienze Polari all’Università di Washington, smentisce: anche le femmine, benché prive di zanna, sono delle ottime eco localizzatrici. Per anni, Laidre si è domandata come facessero questi cetacei a orientarsi così bene sott’acqua. Come le balene, infatti, i narvali devono riemergere ogni 4-6 minuti per prendere aria, ma i mari in cui vivono sono quasi interamene coperti da uno spesso strato di ghiaccio. “In quei luoghi puoi camminare per miglia e miglia senza mai incontrare dell’acqua” racconta la ricercatrice “ma se incontri una fessura, puntualmente ci trovi un narvalo. Mi sono sempre domandata come facessero questi animali a cacciare nell’oscurità (a quelle latitudini l’inverno è un’interminabile notte polare) e a trovare sempre delle fessure per respirare”. L’ipotesi di Laidre era che il loro sonar biologico avesse caratteristiche particolari. Così il suo team ha posizionato dei microfoni acquatici sotto il pack della Baia di Baffin, un tratto dell’Oceano Artico a ovest della Groenlandia, dove trascorre l’inverno l’80 per cento della popolazione dei nervali. Quindi con l’aiuto di potenti software, i ricercatori si sono messi in ascolto. E’ emerso che il narvalo, attraverso l’emissione di clic sonori (ben mille al secondo), scatta un’infinità di istantanee all’ambiente che lo circonda e poi le ricompone in un’unica immagine acustica, vasta e molto dettagliata. Spiega Laidre: “Mentre gli altri animali eco localizzatori usano il proprio sonar come un faro e ottengono una sola grande immagine dell’ambiente, i narvali lo puntano sui diversi oggetti come se fosse una torcia, acquisendo una scansione estremamente precisa” Questa facoltà biologica che non ha eguali (fatta eccezione, forse, per il beluga, altro cetaceo dei mari polari), secondo i ricercatori “potrebbe essere un vantaggio evolutivo intervenuto per ridurre l’effetto di disturbo del rumore di fondo  prodotto dall’acqua e dal pack”. Abilità che ora potrebbe rivelarsi indispensabile, visto che l’ambiente acustico di questi cetacei si fa sempre più caotico. Come conseguenza dello scioglimento dei ghiacci, il loro rifugio estivo, lo stretto di Lancaster (tra le isole di Devon e di Buffin), diventerà presto una rotta marittima attiva tutto l’anno, e gli scienziati pensano che i narvali non saranno in grado di evacuare l’area a causa della loro forte territorialità. Ma questa assenza di flessibilità forse non potrà essere compensata proprio Dl loro incredibile biosonar, che fino a oggi è riuscito a guidarli con precisione nel crescente rumore antropico dell’Artico.
Giulia Villoresi – Scienze – Il Venerdì di Repubblica – 2 Dicembre 2016 -

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