Nonostante la crisi la voglia di
risparmiare c’è sempre, e ormai da quattro anni aumentano gli italiani che ci
riescono. Semmai il dilemma è cosa fare con il denaro risparmiato. Nel 2016,
certifica l’indagine Acri-Ipsos presentata in occasione della Giornata mondiale
del risparmio, la quota di italiani che dichiarano di essere riusciti a
risparmiare negli ultimi 12 mesi è passata dal 37 per cento al 40. Mentre la
voglia di affidarsi a un intermediario bancario è ai minimi storici. Le crisi
finanziaria, a cominciare dalla “risoluzione” delle quattro banche avviata nel
novembre dell’anno scorso, proseguendo con le vicende degli istituti di credito
veneti e del Monte dei Paschi, hanno suscitato una forte diffidenza nei
confronti del sistema creditizio. Il 74 per cento degli italiani pensa che le
forme di controllo sugli investimenti non siano sufficienti: un dato che,
certifica l’Ipsos, è “il valore maggiore da sempre”. Per questo si riaffaccia
“la tentazione del materasso”, ormai però decisamente poco pratico. E allora
gli italiani cercano di rimanere più “liquidi” possibile: niente obbligazioni
(a settembre il Rapporto Abi rilevava un calo del 16,6 per cento, in un anno 65
miliardi di euro in meno), niente azioni e partecipazioni (meno 11 per cento),
più depositi e libretti di risparmio. Poi c’è chi prova a rendere ancora più
sottile il legame con la banca : dall’indagine Ipsos emerge una crescita
esponenziale di conti “minimi”, le cosiddette carte conto che permettono di
farsi accreditare lo stipendio e avere l’operatività di base (bonifici e altri
pagamenti) con costi rasoterra. A oggi ne fa uso il 10 per cento della
popolazione. Una percentuale in continua crescita. Che comprende anche le
categorie per cui questo strumento era stato inizialmente concepito. “Ovvero
gli immigrati e i giovani che guadagnano sporadicamente”, spiega Andrea
Alemanno dell’Ipsos, “e tutti coloro che non hanno un reddito continuativo”.
Tra i vantaggi delle carte conto i costi zero di emissione e la quasi
abolizione del canone mensile, e una serie di facilitazioni fiscali legate alla
non applicazione dell’imposta di bollo contrattuale. Tecnicamente si tratta di
un conto corrente vero e proprio, e quindi in teoria potrebbe rientrare in un
ipotetico bail-in per la parte
eccedente i 100 mila euro. “Ma la maggior parte di questi conti è inferiore a
questa cifra”, conclude Alemanno. Anche chi ha molti soldi è incerto sul da
farsi. Negli anni, complici le tasse che andavano e venivano e il crollo dei prezzi,
si è ridotto anche il tradizionale entusiasmo nei confronti del mattone: solo
il 30 per cento degli italiani indica l’investimento immobiliare come scelta
preferenziale, nel 2004 questa percentuale raggiungeva il 70 per cento ed era
ancora al 54 per cento nel 2010. E il rimpianto per il vecchio materasso si fa
più forte.
Rosaria Amato – Economie – Il Venerdì di Repubblica – 9
Dicembre 2016
Nessun commento:
Posta un commento