La terapia contro l’artrite
reumatoide, un giorno, potrebbe essere (anche) elettronica, impulsi elettrici
sparati attraverso il nervo vago, capaci di spegnere l’infiammazione che
distrugge le articolazioni. Calmando la produzione delle molecole che ne sono
responsabili, prime tra tutte il Tnf (fattore di necrosi tumorale), tra i
bersagli principali dei farmaci oggi in uso per combattere l’artrite. La
proposta di curare l’artrite reumatoide con gli impulsi elettrici arriva da uno
studio pubblicato su Pnas che racconta i promettenti risultati condotti su un
piccolo gruppo di pazienti. Ma l’idea di usare la stimolazione elettrica per
spegnere il sistema immunitario, fuori controllo in chi soffre di artrite
reumatoide non è ancora una possibilità effettiva, ricorda Roberto Caporali,
professore associato di Reumatologia, Università di Pavia, e responsabile della
Early Arthritis Clinic della Fondazione Irccs Policlinico San Matteo di Pavia:
“Con 23 milioni di pazienti in tutto il mondo è normale che la ricerca vada
oltre i farmaci tradizionali ma non dimentichiamoci che questa è una tecnologia
in fase sperimentale. Più reale rimane la prospettiva di curare l’artrite
reumatoide, che solo in Italia di malati conta 400 mila, ricorrendo ai cari e vecchi
farmaci chimici. Vecchi per modo di dire. Infatti, negli uffici dell’Fda e
dell’Ema – gli enti, statunitense ed europeo, che si occupano di approvare
nuovi farmaci – è in corso di valutazione una piccola molecola che potrebbe
rivoluzionare la cura dell’artrite reumatoide. Si chiama Baricitinib e rispetto
ad altri farmaci ha il vantaggio di colpire più bersagli. In questo caso sono
due enzimi, Jak1 1 Jak 2, combattendo dolore, rigidità mattutina e
affaticamento. Ma questo non è il suo unico vantaggio: “A differenza dei
farmaci biologici, come gli anti-Inf, può essere somministrato per via orale”, continua
Caporali. L’aderenza alle terapie e la diagnosi precoce, così che le medicine
si possano somministrare prima che si instaurino meccanismi infiammatori difficili da
sradicare, sono le chiavi per una terapia che può essere sospesa, se pure solo
in una piccola percentuale di pazienti. “Dieci anni fa anche solo immaginarlo
era impossibile”, conclude Caporali.
Anna Lisa Bonfranceschi – Natura – L’Espresso 14 agosto 2016-
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