Fra le molte trovate circensi con le
quali Donald Trump pensa di poter risolvere i problemi del mondo, una delle più
stravaganti è la proposta di sottoporre i migranti da Paesi islamici a un “test
ideologico” all’ingresso negli Stati Uniti. Insomma, chiedere loro se intendano
per caso comprare un machete e massacrare i passanti appena sbarcati in
territorio americano, gridando “Allah è grande”. Un modo un po’ ottimistico per
sconfiggere le cellule dell’Isis. E’ vero che l’approccio americano suona a noi
europei sempre piuttosto ingenuo. Per anni, ogni volta che compilavo il questionario per ottenere il
visto d’ingresso Usa, sono stato tentato di rispondere “sì” alla fatidica
domanda: “Avete intenzione di assassinare il presidente degli Stati Uniti?”.
Così, per vedere che cosa sarebbe successo. Una volta l’ha fatto una
giornalista uruguayano: gli hanno negato il visto e ho capito che era meglio
non sfidare il senso dell’umorismo della burocrazia americana. Ma poi c’è stato
l’11 settembre e si sarebbe dovuto capire che il terrorismo islamico è fatto di
figli delle nostre periferie o di kamikaze perfettamente in grado di
mimetizzarsi a lungo nelle società occidentali, come dimostrano le storie di Muhammad
Atta e degli altri piloti dell’attentato alle Torri Gemelle e al Pentagono. Non
ha alcun senso dunque provare a chiedere a un rifugiato arabo appena sbarcato a
New York se è contrario ai diritti degli omosessuali, perché sarebbe risposte
assai più liberali di quelle che normalmente offrono i seguaci di Trump. Più
che demonizzare i Trump, i Le Pen e imitatori vari, bisognerebbe ascoltare le loro proposte. Ne verrebbe fuori
l’assurdità. L’idea di fermare l’immigrazione ricostruendo muri per l’Europa e
l’America è un altro esempio di grottesco. La biblioteca del Parlamento europeo
è piena di sudi che dimostrano come l’ondata migratoria dall’Africa, alimentata
dalla bomba demografica e dal progressivo impoverimento, sia destinata a
raggiungere nei prossimi vent’anni la cifra di un miliardo di persone. Pensare
di arginarla con un confine di mattoni è come proteggersi da uno tsunami con un
muretto a secco. Le favole populiste non sono contro l’establishment: sono un
antico trucco dei ricchi per incanalare la protesta sociale verso un’altra
guerra fra poveri. Il capopopolo
miliardario candidato alla Casa Bianca, che arma i poveri bianchi contro i
poveri immigrati, è la caricatura di una caricatura di un disegnatore socialista
di cent’anni fa.
Curzio Maltese – Contromano – Il Venerdì di Repubblica – 26
agosto 2016 -
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