Eppure, eppure…Eppure, sì era già
successo. Cominciavano a correre, il 26 luglio scorso, le notizie sulla
spaventosa uccisione jihadista dell’aate Jacques Hamel, 86enne prete cattolico
del Nord della Francia, sgozzato davanti all’altare, e le domande erano
terribili: è dunque questo il Segnale Convenuto, il fischio d’inizio della Guerra di Religione, la fine
della Civiltà Occidentale? Eppure,, era
già successo. Negli annali d’Italia, c’è già stato un vecchio prete ucciso con
pratiche orrende. Il 3 dicembre 1999 ventiquattro ore dopo il fatto, venne
ritrovato nella sua stanza da letto il cadavere, orrendamente torturato, di don
Emilio Gandolfo, 80 anni, parroco di Vernazza, la perla delle Cinque Terre. In
quel mese famoso e minuscolo, in una stagione decisamente turistica, nessuno
aveva visto un’ombra che, nella notte,
aveva suonato alla porta della canonica. Don Emilio era sceso, poi i due
avevano risalito i ripidi gradini di una costruzione in pietra risalente al XII
secolo, fino all’alloggio del parroco, adiacente alla storica e magnifica
chiesa. Nei diciassette anni seguiti a quell’omicidio, non si è arrivato a capo
di nulla. Un extracomunitario? Non esistendo allora la Jihad, ovviamente a
questo si pensò. Ma non si arrivò a niente. In più, due fattor impedivano la
banalizzazione del delitto: la personalità della vittima e il simbolismo della
sua uccisione. Don Gandolfo era stato, in una vita intensissima, un ammirato
biblista, il principale studioso di papa Gregorio Magno,per decenni inviato
speciale vaticano nel Medio Oriente, socio influente della Compagnia di San
Paolo, il famoso istituto secolare per laici e religiosi fondato nel1920 dal
cardinal Ferrari arcivescovo di Milano, con fama di progressismo e autonomia.
Consigliere spirituale di Amintore Fanfani, amatissimo professore di religione
nel famoso liceo Virgilio di Roma ai tempi del’68, con cui solidarizzò; mentore
di molti “cattolici democratici”in politica e nelle professioni. I particolari
della sua morte, che non vennero mai resi noti subito, parlano di una lunga
tortura. Don Gandolfo venne colpito per un’ora con un pesante crocefisso, gli
vennero spezzate le dita della mano destra, diverse costole e infine il cranio.
Tutto il suo appartamento, zeppo di documenti e floppy disk, venne passato in
rassegna. Un fascio di contanti non fu toccato, il suo cellulare venne invece
portato via. Le inchieste non portarono mai a nulla, ma i servizi segreti
monitorarono la messa di Trigesimo, a Roma, affollata di personalità politiche.
Vennero evocati scenari internazionali; anni dopo si legò il delitto al
malaffare finanziario della Compagna (cui don Emilio si sarebbe opposto),
fallita per 400 miliardi di vecchie lire. Si parlò di Dna cui sottoporre tutti
gli abitanti di Vernazza, ma non se ne fece nulla. I casi di Don Emilio e di
padre Jacques non hanno niente di paragonabile. Sul secondo, il più stimato
detective vaticano, Francesco, ha già dato la sua risposta: “Non è guerra di
religione”. E sul primo?
Enrico Deaglio – Annali – Il Venerdì di Repubblica – 12
agosto 2016 -
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