“Dambakan damai tolak terorisme” (“I
pacifisti rifiutano il terrorismo”) dice lo striscione sul ponte. Tra mille
bandiere e drappi biancorossi che annunciano in ogni angolo dello Stato - arcipelago
più grande del mondo l’imminente 71° anniversario dell’indipendenza
indonesiana, il trafficoni Giacarta mi dà il benvenuto con un richiamo ai
moniti di casa. Perché, in tempi di guerra mondiale sparpagliata, fare vacanza
dall’altra parte del mondo, in terra d’Islam e di vulcani, porta amici e
parenti a preoccuparsi oltremodo. Anche per questo, più si va lontano più si
sente la responsabilità del racconto da fare. Al turista medio, che si tratti
di Indonesia o San Marino, due settimane (o due giorni, o due ore) sembrano
spesso più che sufficienti per potersi atteggiare al ritorno con l’ambizione di
aver capito e vissuto il Paese visitato. Da turista medio, temo di non saper
resistere alla tentazione. Forse partirò dal motto di questa repubblica democratica
presidenziale: “Unità nella diversità”. Ecumeniche, spesso impopolari, ma che
nei pochi giorni a seguire mi sembreranno parole tangibili. A Giacarta la più
grande moschea del Sudest asiatico guarda negli occhi la cattedrale cattolica.
A Yogyakarta e dintorni le due risorse turistiche più note sono un immenso
tempio buddista (Borobuduri) e un maestoso tempio induista (Prambanan). Il
giorno dell’orgoglio nazionale, feste e parate sono ovunque. Nei dintorni di
Cangkringan, tra militari, scolaresche e marching band, anche un carro con
altoparlanti: musica e trans al seguito come a un Gay Pride. Tentando di
riparametrare tutto secondo canoni a me noti, immagino un 2 Giugno in una
provincia italiana con carri Lgbt mischiati a scolaresche e militari. Quel che indignerebbe
mezza Italia cattolica l’ho visto in uno sperduto villaggio del Paese più
popoloso a maggioranza musulmana. E però ogni volta che pago o compro, provo
imbarazzo. Troppa la sproporzione del costo della vita, tanta la povertà
diffusa in un Paese incomprensibile agli indonesiani stessi. Qui gli equilibri
mondiali hanno vacillato fino a provocare eccidi di massa contro il pericolo
comunista. Qui alcune isole lottano ancora per l’indipendenza denunciando i
soprusi del potere centrale. Qui il fondamentalismo religioso ha parzialmente
attecchito, sfociando in attentati che ora preoccupano i parenti a casa.
Rassegnato all’impossibilità della sintesi, mi rifugio nell’auspicio nazionale:
“Unità nella diversità”. E’ il souvenir che resta, al netto di ogni ipocrisia.
L’unico da raccontare in giro per il mondo. Che sia Indonesia o San Marino.
Diego Bianchi – Il Sogno di Zoro – Il Venerdì di Repubblica –
26 agosto 2016 -
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