Quaranta chilometri di litorale come una grande sala
parto dalle tartarughe. Si chiama ufficialmente costa dei gelsomini, ma questo
tratto del Mar Ionio nel Reggino è stata ribattezzata costa delle tartarughe.
Estremo suld d’Italia. Un’idea quasi folle e un lavoro d’equipe di sette
partner (la Regione e l’Università della Calabria insieme ai comuni locali e
soci tecnici) è diventato un finanziamento europeo di quattro anni e tre
milioni di quro per preservare l’habitat della Caretta caretta che sfida la
propria malasorte di estinzione. Nelle cronache estive spuntano notizie in
chiaroscuro: uova in Sardegna e Puglia vicino alle aree protette, ma anche
esemplari morti sulla costa romana e pescarese, oppure salvate con l’amo in bocca
in Salento. Dopo più di duecento mila anni i mari non sono più sicuri per le
tartarughe: principali nemici le reti dei pescatori le eliche delle barche. Ma
anche erosione costiera, rifiuti, inquinamento luminoso, invasività dei
turisti. (..). Da giugno ad agosto, maschi e femmine si danno appuntamento
nelle zone di riproduzione, al largo delle spiagge dove le seconde sono
probabilmente nate. Hanno infatti un’eccezionale capacità di ritrovare la
location di origine, dopo migrazioni da migliaia di chilometri. Il 70 per cento
delle nidiate con “passaporto italiano” sono qui. “Siamo partiti nel 2000
grazie alle prime scoperte casuali”, spiega Salvatore Urso, fondatore della
onlus Caretta Calabria: “Con un approccio da pionieri abbiamo battuto quasi
700chilometri e coinvolto l’Università della Calabria per una campagna di
ricerca mirata. Grazie a questi sforzi nel 2013 si è concretizzata la proposta
all’Unione europea. Un’idea quasi folle anche solo pensare un progetto del
genere in una Regione depressa come la nostra”. Depressa, sì, ma sicuramente
attraente per questi animali che l’hanno eletta zona calda con oltre duemila
nascite in dieci anni. Gli accoppiamenti avvengono in mare, dove le femmine
attendono per qualche giorno il momento clou per deporre le uova. Di notte
vengono nascoste in buche profonde, scavate con le zampe, per garantire una
temperatura costante e per nasconderle ai predatori. E’ questo il momento più delicato quando
vengono disturbate dalla presenza di persone, animali, rumori e luci. Le uova
dopo circa due mesi, si schiudono quasi tutte simultaneamente. Solo una su
mille diventerà un adulto che può arrivare a 16° chili di peso. (..). “Vorremmo
una gestione compatibile e la convivenza con i bagnanti. Per questo puntiamo al
ripristino delle dune e a evitare l’uso di ami e lenze adatti alla cattura del
pesce spada che mietono vittime per chilometri”, sottolinea Urso. Hanno così
dotato i pescatori di radio-boe che consentono di calare le reti dove c’è una
scarsa concentrazione di esemplari. Mentre a terra hanno mtigato l’inquinamento
luminoso (schermando i lampioni)che causa il disorientamento dei piccoli e li
porta ad andare in direzione opposta a quella del mare. Un altro nemico è
l’effetto “campo di bocce”. Gli amministratori locali si ricordano a giugno
dell’imminente stagione balneare e decidono di passare in bulldozer
sull’arenile. Travolgendo tutto, comprese le uova. Infine il traffico abusivo
di jeep e quad, con la passione del fuoristrada ad ogni costo. Meglio i segni
delle zampe di tartaruga, che le tracce dei battistrada sulla sabbia.
Michele Sasso – Natura – L’Espresso – 14 agosto 2016 -
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