All’Ultima Asta il rendimento dei Bot a un anno è
sceso al meno 0,19 per cento, il più basso livello di sempre. Nonostante ciò il
Tesoro è riuscito a collocare l’intera partita da sei miliardi di euro. Mentre,
sul mercato secondario, il Btp a dieci anni sembra confermare, seppure a passi
alterni, una corrente discendente verso tassi prossimi all’uno per cento. Per
un paese che ha sulle spalle un debito pubblico enorme – oltre il 130 in
percentuale del Pil – si tratta di notizie ottime. Ma anche non sufficienti a
far concludere che questa stagione dei bassi tassi d’interessi sia il toccasana
dei nostri problemi di bilancio. I benefici di un costo del denaro ai minimi
termini sono stati davvero importanti in questi ultimi anni. Basta guardare
all’andamento degli esborsi per il servizio del debito dal punto più acuto
della crisi nel 2012. In quell’anno la somma complessiva degli interessi pagati
dal Tesoro è stata di 84 miliardi. Nel 2013 si è scesi a circa 78 e nel 2014 a
75. Lo scorso anno si è di nuovo calati fino a quota 70 e in questo 2016 la
prospettiva è quella di ulteriori risparmi. E tutto ciò mentre il volume del
debito faceva il cammino inverso: era poco meno di duemila miliardi nel 2012
mentre oggi si colloca attorno ai 2.250. Ma proprio quest’ultima notazione
serve a mettere in luce che i bassi tassi d’interesse hanno fatto molto bene da
una parte, ma anche molto male da un’altra. Nel senso che, da un lato, hanno
liberato risorse per una politica di bilancio meno restrittiva mentre,
dall’altro, hanno attenuato l’allarme su quello che resta comunque il fronte
più fragile ed esposto del nostro paese: quello del debito, appunto. (..). Secondo uno schema circolare che si può
riassumere così: coi tassi ai minimi si
risparmiano risorse di bilancio da impiegare per spingere consumi e
investimenti che, a loro volta, prenderanno ulteriore slancio proprio in virtù
del potersi ora indebitare ad oneri tanto bassi: Sarà perciò il conseguente
slancio della crescita a rendere il debito sostenibile agli occhi dei mercati.
Scommessa del tutto razionale che, alla prova dei fatti, sta incontrando due
ostacoli imprevisti. L’uno, esterno,
dovuto a una congiuntura internazionale debole e malcerta c non aiuta le nostre
esportazioni. L’altro, interno e forse più sorprendente, che segnala la scarsa
o comunque modesta reattività del nostro sistema produttivo agli stimoli sia
dei finanziamenti pubblici sia del basso costo del denaro. Insomma, come
segnala la frenata del Pil a fine giugno, il cavallo non beve. Medicina
sbagliata? No, l’errore sta nell’insufficienza nei dosaggi dovuta alla limitata
disponibilità di risorse domestiche. Una volta di più occorre guardare
all’Europa, dove la stagione dei bassi tassi d’interesse rischia di rivelarsi
un mero espediente di sopravvivenza per tutti se non si sostituirà in fretta il
flebile piano Juncker con un serio e robusto programma comunitario di
investimenti.
Massimo Riva Avviso ai
naviganti www.lespresso.it L’Espresso – 21 agosto 2016 -
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