Sono un tecnico, un
ingegnere, e credo che dietro il disastro del monto ci sia la politica, non la
tecnica cementata di razionalità. Se solo una frazione delle capacità tecniche
fosse messo a servizio del progresso, non staremmo a parlare di riscaldamento
globale, di crisi, di Isis, di alienazione. Ma i comandi sono in mano alla
politica che ha scarsissime competenze tecniche. Io lavoro in sistemi di
controllo di centrali termoelettriche, cavalcando i giga watt, e però
preferirei che si abbandonassero questi impianti che accentrano grande potenza
e potere. Soprattutto, sono assolutamente contrario al nucleare, perché un
sistema in grado di domare un mostro simile richiederebbe una perfezione tecnica
che non si può mettere in campo, date le risorse a disposizione. Un tecnico
esegue, perché le decisioni tecniche, non le prende la tecnica, ma le prendono
la politica e l’economia che, se solo fossero meno cieche e tecnicamente
ignoranti, non farebbero scelte facili, populiste e suicide. Saluti,
Franco Boggi franco.boggi@gmail,com
Il suo ragionamento che a far disastri
sulla Terra non è la Tenica con la sua razionalità ma la politica con il suo
arbitrio non farebbe una piega, se la tecnica fosse un’arte innocente e non condizionata dall’opinione
dei tecnici, che difficilmente concordano sulle vie da seguire. Alcuni tecnici
sono favorevoli al nucleare, altri non cessano di spaventarci illustrandoci i
rischi che corriamo. Alcuni dicono che gli organismi geneticamente modificati
non procurano alcun danno alla nostra salute, altri invece ci terrorizzano
circa il futuro dell’umanità se questa pratica divenisse globale. Certi
ritengono che il riscaldamento della Terra sia causao dall’uomo, altri ci
dicono che tutto dipende dai normali cicli della natura. Cosa ci insegna tutto
questo? Che i problemi che ho citato sono così grandi da trascendere la competenza
specifica di ciascun tecnico (a cui peraltro manca la possibilità per
verificare sui tempi lunghi, quindi per le generazioni future, l’effetto delle sue
convinzioni).Oppure, più semplicemente, che occorre non dimenticare che anche i
tecnici sono uomini, oltre alle competenze specifiche, hanno idee personali,
passioni, appartenenze politiche, interessi privati che non consentono loro di
dire la pura verità.(..). Questa considerazione ha anche un aspetto positivo.
Ci ricorda che l’uomo, come dicevano i Greci, è un “animale politico”, irrimediabilmente
politico. Nel senso che vivi con gli altri, con interessi contrapposti, con
passioni le più differenziate a cui seguono decisioni che – a differenza delle
decisioni tecniche – non sono spassionate e neppure sempre e solo razionali. Io
non sono contro la tecnica che ci fa vivere meglio dei nostri nonni (anche se
per esserne certi dovremo attendere ancora una o due generazioni). Io sono
contro, e per quel che posso combatto, l’eventualità che la razionalità della
tecnica diventi la razionalità universale. Perché in questo caso avremmo non
solo una dittatura più costrittiva di quella dei fascismi e dei comunismi, dove
tutto ancora dipendeva da un uomo o da un apparato a cui potersi ribellare, ma
la perdita di tutte quelle espressioni irrazionali che rendono l’uomo capace di
amare, piangere, sorridere, di guardare il cielo senza altro scopo che non sia
contemplarne la bellezza ( che, detto per inciso, è un altro fattore che dal
punto di vista tecnico non riveste alcuna utilità). Le consiglio di leggere un
libro che Gunther Anders, ponendosi provocatoriamente dal punto di vista della
razionalità tecnica, ha intitolato L’uomo è antiquato per illustrare come
Prometeo, che il mito greco aveva “incatenato” a una roccia, oggi sa
“scatenato”, poiché oggi la capacità della tecnica di “fare” è enormemente
superiore alla nostra capacità di “prevalere”, siamo tornati all’angoscia di
“prevedere”, siamo tornati all’angoscia che i primitivi provavano davanti
all’imprevedibile. E il problema che si pone, scrive Anders, “non è che cosa
possiamo fare noi con la tecnica, ma che cosa la tecnica può fare di noi”.
umbertogalimberti@repubblica.it
– Donna di Repubblica – 20 agosto 2016 -
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