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domenica 7 agosto 2016

Lo Sapevate Che: Prof che sanno pescare i giovani nella rete...



 Insegno da 25 anni in un liceo scientifico e in questo lungo periodo ho visto cambiare me stessa, i giovanissimi, il loro modo di comunicare fra loro e con noi. Ho dovuto comprendere che il gap generazionale fra me e gli alunni, che di anno in anno si andava allargando a causa del mio progressivo invecchiamento , poteva essere in qualche modo colmato prestando maggior attenzione al loro linguaggio, non solo per censurare i difetti, ma per non chiudere i canali della comunicazione con loro. Oggi con ciascuna delle mie classi intrattengo rapporti epistolari pomeridiani tramite whatsapp, strumento abusato dai più, ma in questo caso utile per segnalare letture o visioni di programmi in tempo reale, per risolvere problemi di studio, per comprendere difficoltà estemporanee. Alcuni mei colleghi non condividono questa disponibilità illimitata di tempo e di energie, ma considerando che i nostri alunni sono in continua e fittissima connessione, non vedo perché non cercare di far parte del loro mondo intellettuale ed emotivo, sfruttando per nobili fini la deriva tecnologica che tano sta togliendo alla qualità dei rapporti umani oggi.   Regina Sassanelli  reginasassanelli@live.it

Che bella idea ha avuto, cara professoressa. E’ andata a cercare i suoi studenti là dove sono connessi con i loro telefonini e i loro computer, più di quanto non siano connessi in classe. E mediante  questa connessione informatica lei riesce a imparare il loro linguaggio e, attraverso il linguaggio, scoprire i loro modi di essere, di pensare, di sentire, così diverso e così lontani dai nostri. E’ un lavoro, questo, che neppure i genitori fanno con i loro figli, ed è encomiabile che lo faccia un’insegnante con i suoi alunni. E’ovvio che i suoi colleghi la critichino per la sua disponibilità di tempo e di energie , perché per loro evidentemente la scuola è un “lavoro”, e come ogni lavoro affatica, quindi non capiscono perché alla fatica mattutina bisogna aggiungerne una pomeridiana. Ci sono però dei lavori che non impegnano solo il nostro fare, ma soprattutto il nostro essere. Tale è il lavoro del medico, del prete, dell’artista, dello scrittore, e del professore. Questo non significa che tali lavoro non affatichino, ma sono assolutamente convinto che affaticano molto di più se il nostro essere resta estraneo al nostro fare.(..). Può solo immaginare i benefici che questi ragazzi ricevono nell’essere guardati non solo come componenti di una classe, ma come individui degni di attenzione nella loro individualità. Magari per la prima volta proprio a scuola, dove le individualità sono spesso trascurate o semplicemente non viste. (..) Giusto per fare un esempio, Kant diceva che spazio e tempo sono due intuizioni a priori senza le quali è impossibile fare esperienza, ma l’informatica, accorciando lo spazio fino ad annullarlo nell’assoluto presente, ha trasformato in modo radicale la modalità con cui i giovani fanno esperienza , rendendola decisamente diversa da quella di quanti sono cresciuti in epoca pre-informatica , quando spazio, tempo, corpo e comunicazione avevano uno spessore materiale e non virtuali. Sono sicuri gli insegnanti, di poter comunicare con efficacia e soprattutto di essere capiti senza entrare nel mondo esperienziale dei giovani, che ogni mattina hanno davanti agli occhi? Oppure, anche per questa mancanza di un modo comune, rischiano di non vederli?  Non lo dico per fare un’apologia dell’informatica e del mondo virtuale, che purtroppo ha sostituito quello reale. Ma per prendere atto che questa sostituzione è avvenuta. E poiché è stata la più grande rivoluzione della storia e ha collocato i giovani, a loro stessa insaputa, come pesci in una “rete”, è proprio lì che i professori devono andare a “prenderli”. Con la dedizione e la cura mostrate in questa lettera che lei mi ha scritto.
umbertogalimberti@repubblica.it – 30 luglio 2016 -

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