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lunedì 15 agosto 2016

Lo Sapevate Che: Laicità vuol dire dubitare di tutte le proprie verità...



Mi tolga una curiosità: “laicità” che cosa vuol dire?Questo termine vale solo per rimarcare la non appartenenza a una confessione religiosa, o rimanda ai valori della tolleranza  e del rispetto delle convinzioni altrui? Io credo che se una parte è estranea a un’altra, anche quest’altra lo sarà della prima. E se una, per definizione o spirito liberale, deve avere rispetto dell’altra dovrebbe avere lo stesso “obbligo”. Succede spesso che chi dà del “laico” a qualcuno che non è come lui lo fa con un certo gusto alla differenziazione, magari un po’ paternalistica e compassionevole, sempre in buona fede, naturalmente. Ma viene prima il rispetto o la compassione? Prima la giustizia o la carità? Forse dovremmo rispolverare anche gli etimi di giustizia, misericordiosa, rispetto e compassione. Ma almeno la compassione dovrebbe essere reciproca, vivaddio, e appartenere anche ai laici e non solo a quelli che non si professano tali.                                            Se no come si fa a con-patire?  giuliofero@virgilio.it

La parola “laico” nasce nel linguaggio ecclesiastico con un significato spregiativo. A quanto ne sappiamo questo termine lo introduce l’apologeta cristiano Tertulliano (155-220 d.C.): utilizza la parola greca laikòs, che significa “ciò che è proprio del popolo (laòs) per distinguere i chierici dal resto della popolazione. Niente di male, sennonché “proprio del popolo” significa “popolare”, e se il popolo si chiama anche “volgo” significa “volgare”. La cultura, infatti, era patrimonio di quel mondo ecclesiastico a cui va riconosciuto il merito di aver conservato tutti i manoscritti greci, arabi e latini dell’area mediterranea che altrimenti sarebbero andati perduti. Da questa cultura era naturalmente escluso il popolo per la grande parte analfabeta. E, se “laico” significa “ciò che è proprio del popolo”, il laicismo nasce proprio come sinonimo di volgarità (da “volgo”)e ignoranza. Dovremo aspettare il XVIII secolo per vedere un riscatto della parola nel segno dell‘illuminismo che, per Kant, “ è l’uscita dell’uomo da una condizione di Minorità di cui è egli stesso responsabile. Minorità è l’incapacità di servirsi del proprio intelletto senza la guida degli altri. (..). Da allora “laico” ha assunto il significato di chi pensa con la propria testa e non con la testa dei chierici (oggi diremmo della Chiesa) che fino all’Illuminismo detenevano il monopolio della cultura e a loro dire della “verità”, con conseguenti persecuzioni per chi non vi aderiva. Lei mi chiede poi se viene prima la giustizia o la carità, il rispetto o la compassione, che secondo lei, è prerogativa dei non laici per cui invita i laici ad accedervi. Io penso che siano proprio gli uomini di chiesa a non essere compassionevoli quando antepongono la difesa dei loro principi, definiti “non negoziabili”, alle persone. Solo con papa Francesco si comincia a vedere un’inversione di questa tendenza in conformità allo spirito evangelico, ma basta che nel nostro Parlamento si discuta una legge che non coincide perfettamente con la morale della Chiesa perché i laici finiscano col piegare la testa, come si è potuto constatare in occasione della legge sulle unioni civili. Per quanto rigurda la “giustizia”, non sapremo mai cos’è davvero “giusto” perché siamo tutti attori della storia e nessuno è al di sopra di essa, come per molto tempo ha ritenuto di essere la Chiesa in quanto depositaria della verità. Per quanto concerne il “rispetto”, questo va insegnato sia ai laici sia ai credenti, perché come dice ancora Kant”L’uomo va trattato sempre come un fine e mai come un mezzo”. (..). Resta infine il problema della “tolleranza” che, considerata nella sua essenza, è impraticabile per gli uomini di chiesa, perché “tollerare” non significa semplicemente non aggredire, non mettere al rogo, non proclamare eretico chi la pensa diversamente, ma assumere verso chi non è d’accordo con noi l’atteggiamento di chi ipotizza che l’altro, con la sua tesi opposta alla nostra, possa vere un gradiente di verità superiore. Solo così è possibile iniziare un dialogo, che invece è impossibile per chi ritiene di essere in possesso della verità assoluta.
umbertogalimberti@repubblica.it – Donna di Repubblica – 6 agosto 2016 -

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