Sono le
22.03 di mercoledì 10 aprile 1991, il traghetto di linea Moby Prince (proprietà
della compagnia di navigazione privata Nav.Ar.Ma) parte da Livorno
con direzione Olbia. A bordo 140 persone, 76 passeggeri e 65 membri
dell'equipaggio, agli ordini del comandante Ugo Chessa. Il clima è disteso e
molti sono raccolti nella sala bar, a guardare in Tv il big match Barcellona
vs Juventus, semifinale di andata di Coppa delle Coppe.
Circa venti minuti dopo il traghetto percorre la rada che poi immette in mare
aperto. In quel tratto avviene l'irreparabile: la nave passeggeri finisce con
la prua nella pancia della petroliera Agip Abruzzo, nei cui
serbatoi sono stipati 2.700 tonnellate di petrolio Iranian
Light. In pochi attimi il mare attorno si trasforma in una larga macchia nera
che inizia a prendere fuoco, avvolgendo la prua della nave passeggeri.
Alle 22.25 arriva il "may day" del marconista della
Prince, seguito dieci minuti dopo dall'allarme dato via radio dal comandante
dell'Agip Renato Superina, che conferma la collisione parlando
erroneamente di una bettolina (piccola imbarcazione utilizzata
all'interno dei porti). Ciononostante i soccorsi raggiungono il luogo
dell'impatto verso le 23, traendo in salvo i 18 occupanti della petroliera.
Dell'altra nave se ne sono perse le tracce.
Soltanto alle 23,35, e per puro caso, due ormeggiatori s'imbattono nella Moby
Prince che nel frattempo, come impazzita, si è messa a girare in circolo.
Davanti ai loro occhi c'è un inferno di fuoco, in mezzo al quale viene colto un
unico segno di presenza umana: attaccato al parapetto, il mozzo di origini
napoletane Alessio Bertrand è riuscito ad evitare le fiamme e su esortazione
dei due ormeggiatori si lancia in mare. Sarà l'unico sopravvissuto di
quella notte.
In quegli attimi sopraggiunge una motovedetta della Capitaneria di
Porto livornese che, dopo aver indugiato per mezz'ora, fa ritorno alla
base. L'amara constatazione dei fatti, confermata durante i processi, dice che
il primo soccorritore a mettere piede sulla Prince è il marinaio Giovanni
Veneruso, incaricato di agganciare la nave per trainarla con un rimorchiatore
all'interno del porto. Il tutto avviene alle 3,30 del mattino quando ormai del
traghetto resta poco più di un relitto spettrale di fumo e lamiere.
L'opinione pubblica è sconvolta dalle prime immagini trasmesse dai telegiornali
ma ricostruzioni troppo frettolose, confermate da esponenti del governo
centrale, parlano di "errore umano" dovuto alla
presenza di nebbia. L'ipotesi della nebbia viene confermata in sede giudiziaria
nei due processi: il primo per omissione di soccorso e omicidio colposo, il secondo
per manomissione a bordo, che non portano ad alcuna condanna avvalorando
indirettamente la tesi dell'errore umano.
Una verità processuale che scontenta i familiari delle vittime, che si
appellano alla contraddittorietà di alcuni aspetti, a cominciare
dall'enorme ritardo dei soccorsi. In più molti testimoni, tra cui
ufficiali di marina e semplici cittadini, confermano che in quelle ore non c'è
stata alcuna nebbia e le fiamme erano ben visibili dal porto. A confermarlo è
anche un video amatoriale trasmesso dal TG1, nelle sere successive al disastro.
Alcune perizie dimostrano che i passeggeri della nave sono sopravvissuti per
diverso tempo dopo l'impatto. Dal ritrovamento dei corpi emerge che la maggior
parte è stata raccolta nel salone De Lux, circondato da paratie che avrebbero
impedito per oltre mezz'ora la propagazione del fuoco. I test
tossicologici, inoltre, confermano la presenza di monossido di carbonio nel
sangue delle vittime, segno evidente del fatto che sono rimasti in vita per
ore.
Negli anni a seguire, per mantenere vivo il ricordo, il Comune di Livorno
dedica una piazza alle vittime, mentre in via Molo Mediceo pone una targa con i
loro nomi.
http://www.mondi.it/almanacco/voce/442002
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