Reduce dal clamore suscitato negli ambienti
letterari con la prima tragedia Il Conte di Carmagnola (1819),
in cui si evinceva la matura adesione al realismo romantico in contrapposizione
ai canoni classici, Alessandro Manzoni reagì alla delusione
per l'incarcerazione di molti amici, rifugiandosi nella sua villa di Brusuglio
(oggi frazione di Cormano) ed immergendosi in numerose letture.
In particolare concentrò l'attenzione sull’Ivanhoe, romanzo a sfondo
storico dello scozzese Walter Scott, sull'Historia patriae di
Giuseppe Ripamonti e sulle opere politico-economiche di Melchiorre Gioia. In
questa fase maturò l'idea di scrivere un romanzo che attraverso una scrupolosa
aderenza alla ricostruzione storica, armonizzata con la finzione del racconto,
veicolasse i valori in cui il Manzoni credeva.
Se dal volume di Scott Manzoni derivò una visione più moderna del romanzo, che
unisse svago e approfondimento culturale, gli altri due gli consentirono di
approfondire un periodo storico specifico, il Seicento, che si
prestava quale metafora universale di società, sia per la ricchezza di fatti
storici, sia per i mali sociali, come ignoranza e corruzione, da cui era
attraversato.
Nell'ottica risorgimentale, inoltre, il Seicento veniva ad essere un
esempio drammatico della dominazione straniera in Italia, soprattutto per il
nord Italia. La scelta di prendere in considerazione il contesto lombardo si
spiegava da un lato con l'intento di condannare la restaurazione del dominio
austriaco, dall'altro con il profondo legame con i luoghi della sua infanzia.
I luoghi del lecchese (oggi identificati nei quartieri Olate ed Acquate del
comune di Lecco), distesi lungo le sponde del lago di Como,
facevano da sfondo alla vicenda dei due innamorati che Manzoni iniziò a
scrivere il 24 aprile del 1821, svelando nell'introduzione di aver attinto da
un manoscritto anonimo (artificio letterario ripreso dall'Ivanhoe) del XVII
secolo.
Interrotto per la stesura della seconda tragedia, l'Adelchi, il romanzo
fu completato nel 1823 con il nome di Fermo e Lucia. Scontento del
linguaggio, da lui stesso definito «un composto indigesto di frasi un
po' lombarde, un po' toscane, un po' francesi, un po' anche latine», e
della poca scorrevolezza della narrazione, decise di non pubblicarlo.
Sulla base della revisione operata dagli amici letterati, approntò una seconda
versione che pubblicò nel 1827 con il titolo de I promessi sposi.
Non ancora soddisfatto del registro linguistico, si predispose (come scrisse in
una lettera) a «risciacquare i panni in Arno», ad adottare cioè
quella parlata fiorentina che caratterizzò la terza e definitiva versione,
edita tra il 1840 e il 1842.
Col tempo la prima versione, "Fermo e Lucia", venne considerata
sempre più come un'opera con un'esistenza propria rispetto alla versione più
celebre.
http://www.mondi.it/almanacco/voce/643002
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