Il
suo vero nome era Eleanora Fagan Gough (Fagan era il cognome
della madre). Quando scelse il suo nome d’arte volle prendere quello del
padre, Holiday. Scelse di chiamarsi “Billie” perché la
madre, riferendosi scherzosamente ai suoi atteggiamenti da maschiaccio, la
chiamava Billy.
Billie nacque
da una notte d’amore tra il sedicenne Clarence Holiday, un
suonatore di banjo, e la tredicenne Sadie Fagan, ballerina di fila.
Il padre non si occupò quasi mai di lei: lasciò presto la figlia per seguire le
orchestre itineranti con cui suonava.
Billie
Holiday ebbe un’infanzia travagliata e dolorosa.
Trascorse i primi anni a Baltimora, trattata duramente dalla cugina della madre
alla quale quest’ultima l’aveva affidata mentre lavorava come domestica a New
York. Subí uno stupro a dieci anni ed in séguito dovette evitare diversi altri
tentativi di violenza. Ancora bambina raggiunse la madre a New York e cominciò
a procurarsi da vivere prostituendosi in un bordello clandestino di Harlem.
Guadagnava qualche soldo in piú lavando gli ingressi delle case del quartiere:
non si faceva pagare solo dalla tenutaria del bordello, che in cambio le
lasciava ascoltare i dischi di Bessie
Smith e Louis Armstrong sul
fonografo del salotto. Quando la polizia scoprí il bordello, Billie
Holiday venne arrestata e condannata a quattro mesi di carcere.
Rimessa in libertà, per evitare di tornare a prostituirsi, decise di cercare
lavoro come ballerina in un locale notturno. Non sapeva ballare, ma venne
assunta immediatamente quando la fecero cantare e, ad appena quindici anni,
iniziò la sua carriera di cantante nei club di Harlem.
In
questo periodo le colleghe iniziarono a chiamarla “Lady” (la signora) perché si
rifiutava di ricevere le mance dai clienti prendendo, come facevano tutte, le
banconote tra le cosce. Nel 1933, diciottenne, mentre cantava al “Log Cabin”,
fu notata dal produttore John
Hammond, che le organizzò alcune sedute in sala
d’incisione con suo cognato Benny
Goodman. Tra il 27 novembre ed il 3 dicembre di
quell’anno incise i suoi primi dischi con l’orchestra di Benny Goodman.
S’intitolavano Your Mother's Son-in-law e Riffin' the Scotch. I
due dischi passarono inosservati. Ma John
Hammond continuò a credere in lei. Nel
1935 le procurò un contratto con il pianista Teddy Wilson per
l’incisione di alcuni dischi per l’etichetta Brunswick. Tali incisioni ebbero
successo e fecero conoscere Billie Holiday al grande pubblico.
«Si imponeva per la sua voce intensamente drammatica, per la capacità di
“volare“ sul tempo e per l’emozione che sapeva trasmettere anche su testi a
volte banali».
Nel
1936 cominciò a incidere dischi col proprio nome per l’etichetta Vocalion.
Successivamente lavorò con grandi nomi del jazz come Count
Basie, Artie Shaw e Lester Young,
al quale fu legata da un intenso rapporto d’amicizia e per il quale coniò il
soprannome “Prez” (il presidente) mentre egli per lei l’adesso noto “Lady Day”.
Billie
Holiday, con l’aiuto e il supporto di Artie Shaw,
fu tra le prime cantanti nere ad esibirsi assieme a musicisti bianchi,
superando le barriere razziali. Nei locali dove cantava doveva comunque utilizzare
l’ingresso riservato ai neri e rimanere chiusa in camerino fino all’entrata in
scena. Una volta sul palcoscenico, si trasformava in Lady Day:
portava sempre una gardenia bianca tra i capelli, che divenne il suo segno
distintivo.
Nel
1939, sfidando le discriminazioni razziali che colpivano i neri, cantò una
canzone coraggiosa, «Strange
Fruit»: il frutto era il corpo di un nero
ucciso dai bianchi ed appeso a un albero. La canzone divise il pubblico;
la Holiday poté eseguirla solo se la direzione del club lo
consentiva previamente.
All’inizio
degli anni Quaranta la vita di Billie Holiday subí due forti
scosse: un matrimonio breve e tormentato e la morte della madre. Prostrata,
cominciò ad assumere stupefacenti (eroina e marijuana). La sua voce iniziò a
risentirne. Ciò non le impedí, nel 1944, di realizzare eccellenti incisioni per
la Commodore con l’orchestra del pianista Eddie
Heywood.
Nel
1947 apparve nel film-musical New Orleans accanto a Louis Armstrong.
Successivamente assunse un nuovo impresario, Norman Granz,
che le procurò scritture con importanti musicisti jazz: Benny Carter, Oscar Peterson, Ben Webster, Coleman Hawkins, Buck Clayton, Tony Scott e
il pianista Mal Waldron,
che negli ultimi anni l’accompagnò in tutti i suoi concerti.
Nel
1954 andò in tournée in Europa. Venne in Italia una sola volta, nel 1958 a
Milano, dal 3 al 9 novembre ma in un teatro di avanspettacolo. Il pubblico, non
abituato al jazz,
non gradí lo spettacolo e Billie Holiday non poté nemmeno
cantare tutti i brani in scaletta: dopo il quinto pezzo venne fatta tornare in
camerino. Il 9 novembre, ultimo giorno di permanenza a Milano della cantante,
fu organizzato da appassionati e intenditori di jazz uno
spettacolo “riparatore” al Gerolamo, in piazza Beccaria. Accompagnata dal
fido Mal Waldron,
diede uno splendido, toccante, recital. Il pubblico le tributò una vera e
propria ovazione.
Morí
per le complicazioni di un’epatite ad appena 44 anni, il 17 luglio 1959, nel
letto di un ospedale, sorvegliata da un agente del servizio narcotici. Il 15
marzo era scomparso il suo vecchio amico Lester
Young, al cui funerale non aveva potuto
cantare.
La
carriera e la vita di Billie Holiday furono segnate dalla
dipendenza dall’alcool e dalla droga, da relazioni burrascose e da problemi
finanziari. Anche la sua voce ne risentí, e nelle sue ultime registrazioni
l’impeto giovanile lasciò il posto al rimpianto.
Il
suo impatto sugli altri artisti fu comunque notevole in ogni fase della sua
carriera. Anche dopo la morte continuò ad influenzare cantanti affermate
come Janis Joplin e Nina Simone. Diana Ross interpretò
la sua parte nel film La signora del blues, tratto dalla sua autobiografia.
Alla fine degli anni ottanta, gli U2 le
dedicarono la struggente Angel of Harlem: «Lady Day ha occhi di diamante, vede
la verità dietro le bugie» (Lady Day got diamond eyes, she sees the truth
behind the lies).
https://www.last.fm/it/music/Billie+Holiday/+wiki
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