Chi vince la battaglia con la coscienza, ha vinto la guerra dell'esistenza…
dal film C'eravamo
tanto amati (1974) Aldo Fabrizi Romolo
Catenacci
Massimo
esponente della romanità cinematografica, insieme ad Alberto Sordi e Anna Magnani, Aldo
Fabrizi è stato regista, sceneggiatore, produttore e poeta dialettale. Ma
soprattutto un attore che ha impresso un segno indelebile nella storia del
cinema italiano, dando il suo contributo di brillante e versatile caratterista
sia nell'ambito del Neorealismo che in quello della commedia all'italiana.
Straordinariamente capace di equilibrare l'elemento comico con quello
drammatico, ha manifestato in tutti i ruoli interpretati una naturale carica di
bonaria umanità, che ha contraddistinto la sua intera carriera. Memorabile con
quel fisico corpulento, la voce roca e affaticata, lo sguardo tra l'ironico e
il malinconico, in grado come pochi di infondere vita a personaggi sornioni e
disincantati, tratti dalla
Roma popolare o
piccolo borghese
L’esordio nel teatro di rivista e le commedie
al cinema
Aldo
Fabrizi nasce a Roma l'1 novembre 1905 da una famiglia umile. La madre gestisce
un banco di frutta e verdura a Campo de' Fiori e il padre, un vetturino, muore
quando il piccolo Aldo ha solo undici anni. Costretto ad abbandonare gli studi
per contribuire al sostentamento della numerosa famiglia, che comprende anche
cinque sorelle, il ragazzino si adatta a fare i lavori più disparati, dal
fattorino al meccanico, dal decoratore al guardiano notturno e al postino.
Nonostante le difficoltà economiche, la vocazione artistica di Fabrizi non
tarda a esprimersi: scrive monologhi in dialetto sui popolani della Roma che
frequenta e nel 1928 riesce a pubblicare un volumetto di poesie in romanesco.
Nello stesso periodo comincia a calcare le scene teatrali, prima con la
Filodrammatica Tata Giovanni, poi come dicitore delle sue stesse poesie. Dal
1931 partecipa a spettacoli di varietà, in cui sfrutta il materiale elaborato
per le sue poesie. La sua attività di macchiettista, nei piccoli teatri della
capitale e in giro per l'Italia, lo rende ben presto popolare, tanto da
spingerlo a fondare una propria compagnia. Spontaneo e spassoso con le sue
grottesche caricature in romanesco, Fabrizi è già una star del teatro di
rivista quando debutta al cinema nel 1942 nella commedia Avanti
c'è posto di Mario Bonnard, dove
prende in prestito il personaggio di un suo sketch per incarnare un bigliettaio
dal cuore d'oro, ma sfortunato in amore. Collabora anche alla sceneggiatura,
così come farà in diversi dei film interpretati. Nella sua attività
cinematografica riproporrà spesso questi suoi personaggi spiritosi, scettici,
ma anche pervasi da una vena di malinconia, come il pescivendolo di Campo de'
fiori (1943) di Mario Bonnard, in cui
non riesce a conquistare il cuore di un'elegante signora e deve accontentarsi
di una fruttivendola verace, interpretata dall'altra romana doc, Anna Magnani, con cui
farà spesso coppia fissa sullo schermo. Proprio come ne L'ultima
carrozzella (1943) di Mario Mattoli, in cui
l'attore veste i panni del vetturino.
Roma città aperta e il Neorealismo
La vena di
Fabrizi, però, non è soltanto comica. L'attore romano sa anche essere toccante,
commovente. Lo dimostra perfettamente in Roma
città aperta (1945) di Roberto Rossellini, film
manifesto del Neorealismo. Qui Fabrizi interpreta il ruolo più significativo e
intenso della sua carriera, quello di don Pietro Pellegrini, fucilato dai
nazisti per aver preso parte alla Resistenza. Questo personaggio drammatico,
venato di arguzia popolare, è ispirato alle figure dei sacerdoti romani don
Giuseppe Morosini e don Pietro Pappagallo, entrambi fucilati nel 1944, durante
l'occupazione nazista della capitale. Questa difficile prova è brillantemente
superata dall'attore, che costruisce una figura eroica e umanissima, che lo ha
reso celebre in tutto il mondo e ha costituito il culmine della sua carriera.
Negli anni seguenti Fabrizi torna ai ruoli comici a lui congeniali, ma con
risvolti sempre più amari, spesso nell'ambito del Neorealismo: come la figura
del bidello che vede coronato il sogno di avere un figlio insegnante, ma viene
da lui respinto, in Mio
figlio professore (1946) di Renato Castellani, o quella
del mite e coraggioso contadino che si sacrifica per salvare il proprio paese
da una rappresaglia nazista in Vivere in
pace (1947) di Luigi Zampa. Nel 1947
è il protagonista di Tombolo,
paradiso nero di Giorgio Ferroni, singolare
contaminazione tra i temi del Neorealismo e le atmosfere della cronaca nera e
del melodramma. Il
delitto di Giovanni Episcopo (1947) di Alberto Lattuada - in
cui incarna un modesto impiegato d'archivio che finisce nelle grinfie di un
avventuriero - è una delle sue prove drammatiche più riuscite, per la quale
viene premiato alla Mostra di Venezia. Si aggiudica il Nastro d'argento come
attore protagonista di Prima
comunione (1950) di Alessandro Blasetti, in cui
interpreta un burbero nuovo ricco che deve ritirare l'abito della prima
comunione della figlia. Dà ancora prova di un istrionismo velato da una sottile
amarezza in Vita da
cani (1950) di Steno e Mario Monicelli. In Francesco
giullare di Dio (1950) di Roberto Rossellini lo
vediamo in un ruolo per lui insolito, quello di Nicolaio, un grottesco
signorotto che vuole uccidere un frate e massacrare l'intera popolazione del
suo borgo, un personaggio stravagante e quasi fiabesco.
La regia
Nel 1949
Fabrizi esordisce nella regia, riservandosi il ruolo di protagonista (come in
tutti i film da lui diretti), con Emigrantes, girato in Argentina,
film sulla nostalgia per la patria lontana, che mescola buffo e patetico,
commedia e melodramma. Commedia modesta e sentimentalista, ma simpatica,
è Benvenuto,
reverendo! (1949), su un ex detenuto perseguitato dalla sfortuna.
Ottiene un grande successo la serie sulle disavventure di un padre di famiglia
piccolo-borghese: La
famiglia Passaguai (1951), La
famiglia Passaguai fa fortuna (1952) e Papà
diventa mamma (1952), in cui Fabrizi fa riferimento alla sua esperienza
nel teatro dialettale e nel varietà. Ritorna poi al registro melodrammatico
con Una di
quelle (1953), con Peppino De Filippo e Totò. Hanno
rubato un tram (1954) è una commedia che ripropone uno dei suoi più
riusciti personaggi teatrali, il conducente. Dirige anche "Marsina
stretta", un episodio del film collettivo Questa è
la vita (1954), tratto da alcune novelle di Luigi Pirandello.
L'accorato e malinconico Il
maestro (1957) è la sua ultima regia, da molti considerata la sua
opera migliore, la cui vena crepuscolare e popolaresca si colora di una
dimensione mistica, nella storia di un maestro di scuola che, perso il figlio,
si chiude in sé stesso, finché l'arrivo di un nuovo scolaro non lo farà uscire
dal suo guscio.
La commedia all’italiana
Nel 1951
l'attore romano recita nella commedia neorealista Guardie e
ladri di Mario Monicelli e Steno, in cui
per la prima volta la sua ironia disincantata viene messa a confronto con
l'incontenibile comicità di Totò. Fabrizi
incarna un bonario brigadiere, costretto, per non perdere il posto,
all'incessante inseguimento di un ladruncolo napoletano (Totò) che non
gli risparmia alcuna provocazione, ma con cui scopre di avere diversi problemi
in comune. Qui anche in veste di co-sceneggiatore, viene premiato al Festival
di Cannes. Con questo film dà il via a una serie di apprezzate interpretazioni
che lo rendono uno dei protagonisti più importanti della commedia all'italiana.
Considerato nell'ambiente del cinema una personalità difficile, che non
risparmia critiche a colleghi e registi, l'attore romano nutre per Totò un'incondizionata
stima e un profondo affetto. Lo ritrova ne I
tartassati (1959) di Steno, Totò,
Fabrizi e i giovani d'oggi (1960) di Mario Mattoli, Totò
contro i quattro (1963) di Steno. Lo
vediamo spesso anche accanto a Peppino De Filippo: Signori,
in carrozza! (1951) di Luigi Zampa, in cui è
un capotreno dalla doppia vita, Accadde
al penitenziario (1955) di Giorgio Bianchi e Guardia,
guardia scelta, brigadiere e maresciallo (1956) di Mauro Bolognini, con Alberto Sordi. Fabrizi è
un attore straordinariamente prolifico e ottiene quasi sempre un buon successo,
privilegiando i ruoli brillanti e comici, ma senza disdegnare le parti
drammatiche. Ma, da metà degli anni Cinquanta, ripiega per lo più su personaggi
collaudati: grassi e gioviali brontoloni in abiti da piccolo-borghese o in
divisa di sottufficiale, che difendono i valori di un tempo ed esaltano il
passato. Diversi sono, invece, i ruoli interpretati nei due film diretti dal
regista austriaco Georg
Wilhelm Pabst nella sua parentesi italiana: La voce
del silenzio (1953) e il bizzarro Cose da
pazzi (1953), in cui veste i panni di un matto che crede di essere
un primario ospedaliero. Negli anni Sessanta Fabrizi prosegue un'intensa
attività cinematografica e compare spesso in televisione, per lo più come
ospite d'eccezione, dilettando il pubblico con i suoi madrigali in romanesco.
Trova anche il tempo per il teatro, in cui trionfa, nella stagione 1962-1963,
con il ruolo del boia papalino Mastro Titta nella commedia musicale
"Rugantino", che culmina in una memorabile trasferta negli Stati
Uniti, a Broadway, dove lo spettacolo registra il tutto esaurito. Negli anni
Settanta si dedica alla poesia di argomento gastronomico, sua grande passione,
ma continua anche con il cinema, lavorando in due film importanti: La Tosca (1973)
di Luigi
Magni, in cui è il governatore di Roma, e soprattutto C'eravamo
tanto amati (1974) di Ettore Scola, in cui
incarna il suocero di Vittorio Gassman, Romolo
Catenacci, ex capomastro rude, disonesto e senza scrupoli, nostalgico fascista
divenuto ricco palazzinaro. L'attore offre una caratterizzazione grottesca e
ricca di sfumature psicologiche e si aggiudica il suo secondo Nastro d'argento.
Ritiratosi dalle scene negli anni Ottanta, Fabrizi muore a Roma il 2 aprile
1990, due anni dopo avere ricevuto il David di Donatello alla carriera.
https://www.mymovies.it/biografia/?a=662
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