Se lo spopolamento degli alveari, in
corso da qualche anno, dovesse proseguire toccherebbe a un’ape robot salvare la
produzione agricola mondiale. Gli apicoltori europei e nordamericani ogni
inverno perdono fino al 30 per ceno delle loro api: tra le cause l’acaro
parassita Varroa destructor, che
indebolisce le api e trasmette virus, e l’uso di pesticidi derivati dalla
nicotina, che rendono sterili i fuchi. Come estremo rimedio, un gruppo di
scienziati dell’Università di Harward sta perfezionando api cibernetiche che un
giorno potranno impollinare le piante. Il progetto si chiama Robo Bee: un robot
alto la metà di una graffetta, dal peso di 84 milligrammi e fibra di carbonio
che battono 120 volte al secondo. I suoi muscoli sono sottili strisce di
ceramica, che si espandono e contraggono in risposta a impulsi elettrici. Il suo scopo principale sarà
quello di portare il polline di fiore in fiore, ma serviranno altri dieci anni
perché lo possa fare. Uno degli ostacoli odierni è trovare una fonte di energia
sufficientemente piccola e leggera da consentire una buona autonomia di volo:
l’ape robotica è ancora alimentata e manovrata tramite filo elettrico. “Perché
possa controllare i suoi spostamenti, dobbiamo dare al RoboBee la capacità di
percepire il mondo intorno a sé: oggi deve ancora collegarsi a videocamere e
computer esterni” spiega Robert Wood, docente di ingegneria a Harvard e
direttore del progetto. La sfida è aggiungere sensori, e quindi batterie per
alimentarli, su un oggetto che deve rimanere leggero per poter volare: “Un
passo avanti, per ora, è la capacità di aderire a rami, foglie o pareti non
tramite uncini ma sfruttando l’elettrostaticità, la stessa forza che fa restare
attaccato a un muro un palloncino che sfreghiamo sui capelli. Così l’ape, prima
di agire, potrà osservare il suo ambiente consumando fino a mille volte meno
energia che in volo”. Altra sfida ostica sarà rendere i RoboBee capaci di
comunicare tra loro per poi eseguire azioni sincronizzate, una capacità
necessaria per un altro possibile impiego rintracciare rapidamente, superando
ogni ostacolo grazie alle loro dimensioni miniaturizzate, i dispersi di un
disastro naturale. I robottini alati dovrebbero poi servire a monitorare l’ambiente
rilevando la presenza di inquinanti nell’aria, e anche per meno nobili scopi di spionaggio militare.
La ragione di questa flessibilità? Quello di “sostituti impollinatori” dovrebbe essere solo un ruolo temporaneo, fino a
quando non avremo soluzioni efficaci per salvare le api vere. E tra gli ultimi
progetti per il salvataggio ce n’è uno dei ricercatori del laboratorio Mediated
Matter del Mit di Boston: un apiario artificiale, ermeticamente chiuso e
protetto, illuminato da speciali luci che simulano un’eterna primavera, di cui
hanno realizzato un prototipo. Un ambiente dalla temperatura controllata, al
riparo da veleni e pesticidi, dove si potranno tener, e far riprodurre , grandi
riserve di api da re immettere a ondate nei campi.
Giuliano Aluffi – Scienze – Il Venerdì di Repubblica – 2
Dicembre – 2016 -
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