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lunedì 12 dicembre 2016

Lo Sapevate Che: QuelleLucette Piene di Domande...



Una rosa è una rosa è una rosa, scriveva Geltrude Stein. Un albero di Natale, invece, è un punto di domanda a cui sono appesi, come palline e lucine colorate, tutti o quasi i maggiori dilemmi etici, estetici e politici del nostro tempo. Ogni anno, quando il 25 dicembre si avvicina, miliardi di esseri umani si trovano davanti a una scelta che valutano distrattamente, adagiandosi sull’abitudine, perché altrimenti dovrebbero fermarsi a pensare, rischiando di rimanere paralizzati di fronte alle implicazioni morali della loro scelta e a mille domande sul chi siamo davvero e su quale sia il nostro senso nel mondo. Per questo c’è chi decide di non farlo proprio l’albero, di chiamarsi fuori, evitando le compromissioni e le colpe che la vita e la storia impongono. E’ una decisione ineccepibile, ma non è una decisione: è una rinuncia. Per quelli che nel mondo vogliono starci, le alternative sono due: scegliere l’albero finto-anche nelle varianti sagoma cartonata, soprammobile o albero farlocco tipo ficus benjamin  addobbato di lucine e festoni – oppure comprare un albero vero, possibilità che contempla due opzioni: con le radici o senza radici. L’irruzione di un albero di Natale reale – O tannenbaum! – all’interno di un appartamento ha in sé un che di selvaggio. Nasconde la memoria degli antichi culti nordici di rinascita, la freschezza della primavera in Scandinavia, il profumo degli abeti celtici vichinghi illuminati dalle fiammelle dei morti, oltre all’eco dell’albero della vita della Genesi naturalmente. Per noi moderni, invece, simboleggia la ricomparsa e la rinascita della natura e della vita in un mondo neutralizzato dalla merce. L’atto di acquistarlo implica, però, paradossalmente, l’accettazione della mercificazione dispiegata come unica possibilità di accedere di nuovo alla vita. Significa piegare anche la natura all’immensa forza che trasforma ogni cosa – perfino la salute e la gioia di e piccini – in un’occasione di consumo. Il problema, insomma, è ancora storico, è l’alternativa tra accettare e rifiutare il proprio tempo. Sfortunatamente la storia non è una variabile soggettiva che dipende dai gusti e dagli orientamenti ideologici, è l’acqua in cui nuotano i pesco rossi che siamo e non c’è modo di tenerla lontana da noi e negarne l’esistenza. Riconoscere la sua realtà significa riconoscere la propria. La scelta dell’albero autentico porta a due strade, ugualmente irte di controindicazioni: quello senza radici è una soluzione pratica, ma è già morto, non ha alcuna possibilità di risorgere, dettaglio che contraddice la simbolica irruzione della natura viva e scalciante nell’universo artificiale della nostra esistenza; l’albero con le radici invece, trascorrerà un mese in un ambiente innaturale, afflitto da caloriferi a palla, umiliato da festoni e palline come uno Yorkshire tempestato di fiocchi e bigodini a una mostra canina, Si seccherà, perderà milioni di aghi che dovranno essere spazzati e raccolti, e se anche dovesse resistere fino al 7 gennaio – quando anche la Befana se ne sarà andata via – dovrà essere caricato nel bagagliaio e riportati in un vivaio oppure all’Ikea dove ogn anno si organizza una deportazione in massa di abeti ammaestrati di seconda mano al Parco del Po Vercellese-Alessandrino e al Parco Nazionale delle Cinque Terre. Non è un bel vivere comunque, anche perché le possibilità di sopravvivenza rimangono scarsissime. (..). La scelta dell’albero di plasica, al contrario non implica la morte di un altro essere vivente e, quindi, la colpa di chi l’ha favorita. Però costituisce una resa completa all’inorganico, la sostituzione del vivo con l’artificiale. Anche tralasciando ogni interrogativo e calcolo sui metri cubi di gas e petrolio necessari a produrre l’albero in questione, la scelta dell’artificiale pone un problema estetico invalicabile. (..). Rappresenta un’imitazione non riuscita della vita, di cui si accetta di poter mettere in scena solo il simulacro trash. Il Natale come celebrazione della nascita si ribalta cioè in celebrazione  della morte, in tutte le sue varianti: l’agonia dell’albero con radici, il cadavere che è l’albero reciso e l’inanimato se si sceglie quello di plastica. Ogni alternativa mortifica la festa della nascita – non della resurrezione, che avviene a Pasqua, e che implica comunque la morte – ma del venire al mondo, della possibilità dell’irruzione di una vita nuova nell’esistenza imbalsamata che tutti viviamo. Il consumismo è la religione dell’inorganico e il Natale è la sua messa. A chi vive nella storia, e in questo tempo, non resta che prenderne atto, accettando che ogni nostra decisione – perfno quella di non farlo per niente, il benedetto albero di Natale – finirà per essere una celebrazione della morte dentro la vita e della vita dentro la morte, sempre e unicamente attraverso la potenza magica della merce, che sa propagarsi, ma non dà mai frutti vivi. Oppure si può fare il presepe.
Giacomo Papi – Che La Festa Cominci – Il Venerdì di Repubblica – 9 Dicembre 2016

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