Sotto L’Ultimo Sole tiepido di
novembre, nella casa dal grande prato al confine con il bosco, Karen Osborne
guardava il nipotino dormire, vegliato da Miles, il labrador di famiglia che
sonnecchiava accanto alla carrozzina. Miles era un cane già anziano,
tranquillo, soltanto un po’ possessivo nei confronti dell’ultimo arrivato in
famiglia e Karen fu sorpresa quando lo vide scuotersi, drizzare il pelo e
cominciare ad abbaiare. Con l’ansia tipica delle nonne alle quali le figlie
affidano la cura dei piccoli, si alzò dalla sedia sotto il portico di casa per
investigare che cosa avesse innervosito Miles che puntava verso il limitare del
bosco. Lo seguì e si trovò di fronte un orso. Un Black Bear. Ursus Americanus, nella classificazione
ufficiale. Non era quella la prima volta che Karen Osborne si trovava faccia a
muso con un orso e non provò particolare paura. Nella estrema periferia della
Washington di marmi, monumenti sordide
trame politiche e ambizioni di potere, a un’ora di auto dalla capitale, la
frontiera dell’urbanizzazione si dirada nel duello con le prime colline dei
monti Appalachiani. Decine di orsi ancora ci vivono e i contatti con gli umani
sono frequenti. Quasi sempre legati alla confidenza che gli animali prendono
con l’uomo e i suoi insediamenti, che gli orsi bazzicano per cercare cibo e
rovistare tra i rifiuti. Karen non ebbe paura. Si piazzò fra l’animale e la
carrozzina dove dormiva il nipote per sbarrare la strada sicura che l’orso,
spaventato e rassegnato a non trovare cibo, sarebbe tornato nel bosco. Il suo
compito di donna in quel momento era quello di proteggere il proprio cucciolo
d’uomo. Ma quello che lei non poteva sapere era che quello, di proteggere i
propri cuccioli, era esattamente il compito di quell’orso, in realtà era
un’orsa. Alle spalle di Karen, non visti da lei ma visti benissimo dalla madre,
in un altro tratto di bosco oltre il prato di casa, tre orsacchiotti giocavano
allegramente fra di loro. L’orsa attaccò. In pochi secondi di unghiate e morsi,
la donna era ridotta a una massa tremante e sanguinante rannicchiata in
posizione fetale. Per tre volte madre orsa attaccò nonna umana, che nelle pause
dell’assalto riuscì a estrarre il telefono cellulare che teneva nella giacca a
vento, comporre il 911 e implorare soccorso. “Ho le gambe spezzate….sanguino…sto
Quando mamma orsa la vide immobile e raccolta a palla sul prato,, dopo qualche
minuto si convinse che quella strana creatura sanguinante non rappresentava più una minaccia per i suoi
cuccioli e scomparve nel bosco seguita dagli orsacchiotti. La nonna umana è
stata ricucita con ottanta punti e ricostruita con varie ingessature
nell’ospedale di Frederik. La madre orsa è stata abbattuta. La polizia della
contea e gli agenti del servizio di controllo degli animali hanno dovuto applicare
la legge che impone l’eutanasia per gli orsi che attacchino l’uomo e non ebbero
difficoltà a completare l’esecuzione. L’orsa era conosciuta perché un anno
prima, quando era stata colpita da un camioncino mentre attraversava una
strada, era stata soccorsa, anestetizzata, curata e dotata di un collare
elettronico. Ma anche senza collare, i cacciatori l’avrebbero raggiunta e
riconosciuta facilmente: da quel suo primo incontro con l’umanità era rimasta
azzoppata. I tre orsacchiotti orfani, due maschi e una femmina, sono stati
catturati, dotati di collare elettronico e rimessi in libertà sulle colline e
le foreste del Maryland. A dieci mesi di età potrebbero farcela a sopravvivere
senza madre. Almeno fino a quando la grande macchia umana non divorerà anche il
loro bosco.
Vittorio Zucconi -
Opinioni – Donna di Repubblica – 3 Dicembre 2016 -
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