Usciamo dallo studio del medico
brandendo il foglietto miracoloso: la ricetta. Un’altra pillola, possibilmente
con una “x”, una “Y” nel nome scelto dalla sezione marketing della casa
farmaceutica soltanto perché suona bene, senza nessuna relazione con
l’impronunciabile principio attivo, si aggiungerà all’armamentario che dovremo
ingerire ogni giorno. A digiuno, prima dei pasti, dopo i pasti , prima di dormire, al
risveglio o quando ce ne ricordiamo, per inseguire il sogno della salute e
della lunga vita. (..). I medici lamentano che i loro pazienti non seguono le
istruzioni e fanno di testa loro, magari rischiando la vita. Nel sito social medicine Kevinmd.com, dove
professionisti della sanità riportano le loro esperienze firmandosi con nome,
cognome e titolo, la dottoressa Valerie Jones racconta di una paziente che era
afflitta da uno dei problemi più diffusi, l’ipertensione. Le aveva ordinato un
diuretico a basso dosaggio, ma i controlli successivi non avevano indicato alcun
miglioramento. Le aveva allora aumentato la dose, di nuovo senza abbassamenti
di pressione. E di nuovo, cambiando farmaco e accrescendo dosaggio. Fu quando
la signora restò vedova e il figlio si trasferì da lei per aiutarla, che il
mistero venne risolto: aveva cassetti pieni di flaconi del diuretico intatti,
che mai aveva inghiottito. Diligentemente, il figlio la obbligò a prenderli e
la donna finì al pronto soccorso violentemente disidratata: la dose altissima e
non necessaria l’aveva, scrive la dottoressa, “rinsecchita come un chicco di
uva passa”. (..). Racconta un altro di questi dottori che cominciano a dubitare
della saggezza di bombardare i loro pazienti per controllare condizioni e
disturbi cronici non gravi, di una donna con una lieve ipertensione arteriosa
che rifiutò la sua ricetta per il solito diuretico, “Senta, dottore”, gli
disse, “mi trovano la pressione alta da quando avevo 40 anni e ogni volta che
mi si abbassa, comincio a vacillare e a perdere l’equilibrio. Ho 81 anni e ho
più paura di cadere che di avere un colpo”. Il medico le diede ragione. Si
allarga, senza che le facoltà di Medicina lo approvino e lo insegnino, un
movimento spontaneo fra i medici della nuova generazione per prescrivere meno
farmaci o per tentare, nei limiti della sicurezza, di eliminare quelli già
assunti da anni. E scoprire che le condizioni generali del paziente non
soltanto non peggiorano, ma migliorano, avendo risparmiato a loro i sempre
imprevedibili effetti incrociati dei cocktail di pillole. Cercano di capire quanta
roba in meno e non quanta in più gli assistiti possano ingerire, dicono,
curando per sottrazione e non per addizione. E sarebbe una piccola rivoluzione
anche finanziaria, perché il conto di quei 4 miliardi di ricette aumenta di 50
miliardi di dollari all’anno e sta sfondando sia il borsellino
dell’assicurazione pubblica che quello dei privati. Siamo un popolo di
ipermedicati: il 70% degli americani prende almeno un medicinale da ricetta la
giorno. Serve urgentemente una pillola per disintossicarci.
Vittorio Zucconi – Donna di Repubblica – 5 Dicembre 2015 -
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