Nei sobborghi più prossimi a
Washington, sulle colline che prendono il nome dal Fiume che le formò, il
Potomac, vive la crema della high society della capitale americana: Sono i
ricchi veri, quelli che si conoscono tutti, che inseguono le stesse palline
sugli stessi green del golf, che mandano i figli nelle stesse scuole private.
E’ lo 0,1% della piramide del denaro, che vive in proprietà misurate a ettari,
dove ogni villa che si rispetti deve avere un’altra villa riservata al
personale ed essere sorpresi con un’utilitaria parcheggiata davanti alla porta
equivarrebbe alla vergogna di trovarsi nudi su un tram come accade negli
incubi. In una di queste case, che poi chiamarla casa sarebbe come definire il
Duomo di Milano una cappellina, viveva una delle più ricche famiglie americane
i Savvoupouloses: Savvas, la moglie Amy, il figlio di 10 anni, una governante e
una tata. Viveva, perché ora non ci vive più. Una sera di qualche settimana or
sono, i vigili del fuoco furono chiamati dai vicini che avevano visto alzarsi
fiamme tra gli alberi. Quando i soccorsi arrivarono, trovarono tra le rovine i
corpi dei Savvoupouloses, padre, madre, figlio e il loro personale. Uccisi non
dalle fiamme o dal fumo, ma da qualcuno che con un’aveva provveduto a fare
tutti a pezzi e poi ad appiccare il fuoco. L’assassino, si scoprirà in fretta,
era stato un vicino, dunque un milionario come loro, un uomo di 31 anni che si
era presentato alla porta, aveva suonato, si era trovato di fronte Savvas, il
parterfamilias e da lui aveva cominciato l’opera di squartamento.(…) era stato
maciullato da un vicino perché, confesserà l’assassino, Savvas il giorno prima
di morire era tornato a casa rombando al volante di una nuova Porsche GT3, il
top della gamma: E il vicino, che le sue auto sportive le odiava, l’aveva preso
come un affronto personale. Il che non gli aveva impedito di portarsi via la
Porsche, facilitando le indagini della polizia. Nel rovistare fra i tizzoni e
le pareti carbonizzate, pompieri e polizia avevano fatto una scoperta
sorprendete. Savvas, figlio di un bracciante greco emigrato negli anni ’50, era
cresciuto nell’America dell’uno per cento opposto, nelle strade violente dove
difendersi e sopravvivere era il primo obiettivo e in casa teneva un piccolo
arsenale, perfettamente legale. (..). Avere fucili e mitra e pistole
nell’armadio (chiuso a chiave per evitare rischi con il figlio) non gli era
servito a niente. Morale – lo sospettavate, che ci fosse una morale – della
orrenda parabola: non esistono arma, schioppo, arsenale che possano difendere
una persona dal più micidiale dei nemici: l’assassino che conosci. Se nelle
nostre legittime paure, l’assalitore è l’ombra che s’introduce in casa alle due
di notte, l’uomo mascherato che s’intrufola dalle finestre, nella realtà delle
statistiche sul crimine è che il peggior nemico è l’amico. E’ il conoscente, il
vicino che abbiamo incrociato (..), il parente, in molti casi il marito o il
convivente, come sanno le donne. Otto su dieci omicidi sono commessi da persone
che la vittima conosce bene, gente alla quale si tende la mano, con la quale si
esce, alla quale si apre la porta e magari ci si va a letto.(..). Mentre le
armi riposano, inutili e silenziose nel cassetto delle illusioni.
Vittorio Zucconi – Donna di Repubblica – 12 Dicembre 2015 -
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