Bologna. Nell’era del digitale, delle “smart
city” e della pubblica amministrazione 2.0, fallisce clamorosamente in Italia
il progetto della carta d’identità elettronica (Cie). Lanciata nel 1997 da Bassanini,
divenuta sperimentale nel 2001 con Berlusconi in 200 Comuni, doveva sostituire
50 milioni di vecchi documenti di identità e rivoluzionare il nostro vivere
civile inglobando in un microchip dati anagrafici, biometrici (gruppo
sanguigno, impronte digitali, mappa dell’iride), codice fiscale e firma
digitale. Invece dopo 14 anni le nuove card in circolazione solo 4 milioni e
non hanno niente di elettronico: in pratica semplici documenti di plastica più
piccoli e molto più cari (25 euro contro 5) di quelli cartacei. Tanto che 139
dei 200 Comuni della sperimentazione (tra cui Bologna, Firenze, Milano e
Torino) stanno tornando alle vecchie carte d’identità in cartoncino. I motivi
della débacle sono diversi. Per emettere le carte col microchip si usa una tecnologia
si usa una tecnologia già superata, le macchine si rompono facilmente, i
ricambi sono introvabili e costosissimi, la connessione ai terminali del
ministero (indispensabile per farle funzionare) spesso non c’è. Ora il Viminale
dovrebbe definire un nuovo modello di tessera elettronica e autorizzare una
spesa di 60 milioni di euro nel 2015, di 8 milioni nel 2016 e do 62,5 milioni
ogni 5 anni a decorrere dal 2020 per realizzare la nuova Anagrafe nazionale
della popolazione residente (Anpr). Ma nell’agenda Italia@Semplice del
ministero Marianna Madia della nuova card non v’è traccia, mentre si lancia il
Sistema pubblico di identità digitale che entro dicembre 2017 dovrebbe dare
cittadinanza digitale a 10 milioni di italiani attraverso l’uso di “un solo semplice
pin”.
(claudio visani) – Il Venerdì di Repubblica – 11
Dicembre 2015 -
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