“Ma tu sei cristiano?”. Così, a
bruciapelo, quando la giornata è ormai finita, mi arriva la domanda
esistenziale, tanto semplice quanto inattesa impegnativa a prescindere da
quante volte, arrivato a 46 anni, mi sia già risposto da solo allo stesso
quesito. la circostanza stavolta è particolare. Sono da solo, spiritualmente
indifeso, a tarda sera, in Via della Conciliazione, di 8 dicembre, a Giubileo
appena iniziato, faccia a faccia con l’annunciatissimo spettacolo di luci,
foto, colori e animazioni che sta trasformando la facciata di San Pietro in un
gigantesco desktop utile per datati screensaver forniti da software superati.
In un contesto pensato secoli fa per lasciare senza fiato il mondo, incantarsi
davanti all’immagine di un delfino o di un gattino che hai già fuggito su
Facebook mille volte risulta difficile. Ma siccome anche per la Chiesa la
campagna elettorale non finisce mai, è in quel momento di totale resa al
disincanto di un ragazzo mi si presenta come “prete di strada” chiedendomi “ma
tu sei cristiano? No? E perché non lo diventi? Leggi il Vangelo, con me ha funzionato”. Mi piace l’approccio sfrontato,
diretto, senza troppi giri di parole. Sfoggio cortesia e divertimento, alzo lo
scudo dell’agnosticismo e lo ascolto incuriosito. Perché lui ci crede davvero,
che sia possibile convincere qualcuno a diventare cristiano davanti alla foto
del gattino sul Cupolone, e ora avvia lo storytelling della sua vita. “Anch’io
da giovane non ero cristiano. Spacciavo droga, fumavo, ballavo sui cubi in
discoteca. Poi la mia ragazza mi portò in chiesa, iniziai a confessarmi,
divenni cristiano, ebbi la chiamata, la vocazione”. Partendo da un cv
banalmente diverso, gli faccio notare che in teoria il mio percorso verso la
fede potrebbe essere addirittura più breve del suo, ma della sua storia la cosa
che mi resta più impressa, malgrado tutto, è che la prima conseguenza sia stato
l’abbandono della fidanzata. E me ne dispiaccio per lui. Ormai è così. Davanti
al mistero della fede, mi perdo nei dettagli, dimentico il quadro d’insieme, il
grande progetto. Resto dannatamente
(avverbio che in un articolo del genere pesa improvvisamente più del
dovuto) terreno. Ragion per cui, di prelati, suore e pellegrini mi colpiscono
vestiti, tuniche e veli che spaventerebbero se indossati da altri. Mi
impressiona il loro concreto fotografarsi incessantemente, lo spiccato culto
per l’immagine da tramandare all’effimero di un selfie. E continuo a voler
pensare al Vangelo soprattutto come a un bel libro.
Diego Bianchi – Il sogno di Zoro – Il Venerdì di Repubblica –
18 Dicembre 2015 -
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