Sono una ragazza
ventenne e studio all’Accademia di Belle Arti. Sono cresciuta in un ambiente
laico e tollerante. In seguito mi sono trovata a interessarmi alle tre grandi
religioni monoteiste, e a”parlare”o se vuole “pregare” con qualcosa che
avvertivo come trascendente. Oggi non sono religiosa e non credo nella chiesa
come istituzione, ma penso che quello delle religioni sia un messaggio immenso
e potente che non dovremmo mai dimenticare. Le religioni sono pagine di
letteratura di grande valore e forse tali resterebbero se l’uomo evitasse di
caricarle d’ideologia che poi si traduce in fanatismo. Lei crede sia possibile
considerare le religioni come un genere letterario o come opere d’arte? Oppure
pensa che si debba fare una distinzione fra un testo sacro e, per esempio, una
tragedia greca o Moby Dick? - Martina martina.selva@fastwebnet.it
Le religioni, soprattutto quelle
monoteiste a cui lei fa riferimento, sono nate per recingere, tenendola in sé
raccolta (re-legere) l’area del
sacro, onde evitarne l’espansione incontrollata, essendo il sacro
caratterizzato da un regime di massima violenza, di sessualità selvaggia di
confusione dei codici, dove il bene e il male appaiono indistinguibili, il
piacere si intreccia col dolore, la maledizione con la benedizione, la luce del
giorno con il buio della notte. Come ci ricorda Gerardus Van der Leeuw: “Nella
religione Dio è arrivato con molto ritardo”. Conservando del sacro il suo
tratto ambivalente, per cui accanto alla misericordia di Dio la religione
segnala anche il timor di Dio. (..). Senza abbandonarli, le religioni
monoteiste sono andate oltre i riti, affidandosi a testi, ritenuti sacri perché
“parola di Dio”, che contengono norme etiche di comportamento osservando le
quali c’è la promessa di un’altra vita: paradisiaca per chi li segue e
infernale per chi non li ottempera. (..). Con l’illuminismo è iniziato un
processo che ha separato l’etica dalla religione, perché ci si è persuasi che
l’etica non è che un sistema di regole per vivere con la minor conflittualità
possibile. (..). Così facendo, va incontro a un bi. La fede promette inoltre
un’ulteriorità di senso rispetto a quello offerto dalla vita presente. Così facendo
va incontro a un bisogno di trascendenza che alberga nel cuore di ogni uomo, e
che poi ogni uomo indirizza nella ricerca, ivi compresa quella scientifica che
non si accontenta mai dei risultati raggiunti.(..). Qui la fede si àncora al
cuore, al sentimento, alla speranza, che non sono fattori insignificanti per
continuare a vivere quando le circostanze si fanno davvero insopportabili.
Leggere i testi definiti sacri, come grandi opere letterarie o addirittura
artistiche per la bellezza delle loro metafore è possibile, senza però credere,
per il solo fatto di apprezzarle, di appartenere a quella fede, perché la fede
chiede, oltre all’apprezzamento, un assenso incondizionato del cuore, o come
dice San Tommaso della “volontà” (ex
voluntate), perché, come ci ricorda San Paolo, di fronte alla fede, il solo
l’intelletto si trova “in uno stato d’infermità e di grande timore e tremore”.
umbertogalimberti@repubblica.it
– Donna di Repubblica – 19 Dicembre 2015 -
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