Segenet Kelemu, la prima donna a dirigere il Centro
internazionale per la fisiologia e l’ecologia degli insetti del Kenya, è
cresciuta in una famiglia contadina e conosce il problema da vicino: in Africa
colture come il mais o il sorgo sono fondamentali per vivere, ma vengono
minacciate su molti fronti. Specia dagli insetti trivellatori, dalle erbe
infestanti, dall’inaridimento del terreno. Per questo il suo centro, con una
ricerca guidata dallo scienziato Zeyaur Khan, ha realizzato una tecnologia
(tutta africana) che affronta queste minacce in modo economico e sostenibile
per l’ambiente. L’hanno chiamata “push-pull”, cioè “spingi-tira”, perché
protegge le colture con una doppia azione. “Ai cereali si inframmezzano file di
piante che emettono naturalmente sostanze repellenti per gli insetti dannosi
(push). A bordo campo si piantano invece
erbe che li attirano, ma non permettono loro di svilupparsi e riprodursi
(pull)”, spiega Kelemu. Ideata in Kenya nel 1997, questa tecnica oggi è
adottata da oltre 110 mila coltivatori di cereali di tutta l’Africa orientale e
si pensa di introdurla in Sud America. Ma non è stato un successo facile: c’è
voluta una ricerca scientifica lunga e rigorosa per trovare le piante adatte.
Per quattro anni Khan ha vagliato 600 vegetali in cerca della perfetta pianta
“pull” per attirare gli insetti nocivi. Una volta trovata, i danni da
trivellatori sono crollati con punte dell’80 per cento. Lo stesso approccio ha
ispirato i passi successivi. Quando un’area del Kenya è stata devastata da
un’erba infestante, la Striga, è stata introdotta la pianta “push”, il
desmodio: una leguminosa che non solo allontana gli insetti ma uccide la
Striga, protegge e fertilizza il terreno, ed è anch’essa un ottimo foraggio.
Ora che inizia a sentirsi il cambiamento climatico, è stata sviluppata una
nuova versione del “push-pull” con due specie resistenti all’aridità. Una
valutazione indipendente ha sancito la validità della tecnologia nel migliorare
la sicurezza alimentare e la qualità di vita di gran parte degli utenti. In
primis, rimarca Kelemu, le donne: il cui contributo nei campi e nei laboratori
è decisivo per i progressi dell’Africa. “Il “push-pull” è una tecnologia
soprattutto per le contadine. Secondo i dati Fao sono quasi sempre loro a
chinarsi a strappare le erbacce, o a fare chilometri per raccogliere il
foraggio. Ora non devono più farlo. Anche questo, dunque, è empowerment
femminile”. Queste tecniche sono un’alternativa naturale alle colture
geneticamente modificate, ma per Kelemu la contrapposizione non ha senso: “Gli
Ogm in certi casi sono preziosi. Quando per esempio la papaya era devastata da
un virus, l’ha salvata una modificazione genetica che l’ha resa resistente. Ma
ogni tecnologia dev’essere parte di un piano complessivo. L’importante è non
lasciare che gli Ogm li facciano solo le aziende private: devono lavorarci
anche i centri di ricerca pubblici (e molti lo fanno, anche in Africa), per
sviluppare soluzioni tarate non sul profitto ma sui bisogni degli utenti e
dell’ambiente. Proprio come il “push-pull”.
Giovanni Sabato – Agricoltura – L’Espresso – 10 Dicembre 2015
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